Cucina dei templi buddisti: 5 preziosi insegnamenti che ci ha lasciato la monaca coreana Jeong Kwan (e che tutti dovrebbero leggere)

Alla scoperta della cucina dei templi buddisti con la monaca Jeong Kwan che abbiamo avuto la fortuna di incontrare dal vivo e che ci ha condotti in un viaggio unico e preziosissimo tra i sapori, gli odori e, soprattutto, i principi alla base delle ricette coreane templari. Una cucina semplice, genuina che, forse più di tutte al mondo rispetta ogni creatura vivente e rappresenta il primo, vero, strumento di pace,

Siamo quello che mangiamo. O meglio, ciò che mangiamo influenza buona parte della nostra vita, del nostro stare in salute, del nostro stare in pace con noi stessi. Sembrano parole banali, ma inserite nel contesto in cui le abbiamo ascoltate con il cuore e con la mente, hanno assunto un significato tutto nuovo e affatto scontato. Sono parole che abbiamo potuto sentire direttamente dalla voce della monaca buddista Jeong Kwan, considerata una delle più quotate chef al mondo, forse la migliore se si restringe il campo alla cucina vegana.

La preziosa occasione occasione ci è stata offerta dall’Istituto di Cultura Coreano che nei giorni scorsi ha portato nuovamente  in Italia la carismatica “cuoca filosofa” – come l’ha definita il New York Times) divenuta famosa anche grazie alla sua partecipazione alla terza stagione del talent show culinario targato Netflix,  Chef’s Table . Abbiamo così potuto cucinare insieme a lei, alcune delle pietanze basilari della cucina templare nel corso organizzato presso Eataly di Roma.

Io comunico con il mondo tramite il cibo templare buddista. Sono stata in Italia nel 2019 grazie all’Istituto Culturale Coreano e sono molto felice di tornare quest’anno. Nei miei incontri racconto la filosofia della cucina templare buddista attraverso il Baru Gongyang e le ricette a cui sono molto legata” ha raccontato la monaca.

Jeon Kwan è una signora piccoletta ma dall’energia travolgente e dal sorriso contagioso. Non ha seguito corsi di cucina, né ha mai aperto un proprio ristorante, ma il suo carisma e la sua cucina sono veramente ipnotici. Oltre a insegnarci come preparare degli ottimi funghi caramellati e del formaggio vegano a partire dal tofu (DubuJang) Jeong Kwan ha raccontato qualche aneddoto sulla sua vita monastica e ci ha regalato alcune importanti lezioni di vita che vogliamo condividere con voi.

La cuoca-filosofa

Jeong Kwan è entrata nell’eremo di Chunjinam (Corea del Sud) all’età di 17 anni, poco dopo la morte della madre. Cresciuta in una fattoria, ha subito dimostrato di conoscere bene i prodotti della terra e di saperli preparare alla perfezione, cucinando per i monaci con amore e spirito di condivisione.

Il suo modo di fare cucina è istintivo, naturale. Non c’è nulla di appreso o di inculcato: come spiega la stessa monaca, cucinare non è diverso dalla meditazione o dalla preghiera. Le basta vedere un ingrediente, un frutto o un ortaggio, per comprendere istintivamente quale sia la miglior maniera di prepararlo per valorizzarne il gusto e le proprietà, rispettandone le caratteristiche e il punto di maturazione.

Questa “simbiosi” con il cibo, con i frutti della terra, è data ovviamente da una profonda conoscenza del mondo naturale e dal fatto che è lei stessa a occuparsi in prima persona della raccolta dei prodotti dell’orto prima di cucinarli e trasformarli in prelibatezze per il palato.

Facciamo un esempio: quando compriamo una melanzana al supermercato, sappiamo esattamente il giorno, il momento in cui essa è stata raccolta? Conosciamo il suo punto di maturazione? Evidentemente no: quell’ortaggio potrebbe stare sullo scaffale del supermercato da un giorno come da una settimana, e aver percorso molti chilometri prima di arrivare nelle nostre mani.

Coltivare la stessa melanzana nel proprio orto, occuparsene ogni giorno, vederla crescere, genera invece una grande empatia con l’ortaggio e ci permette di capire quale sia il suo livello di maturazione e cosa possiamo fare con essa: sembra quasi che l’ortaggio ci parli, suggerendoci la modalità più giusta per consumarlo. Ed è esattamente questo il principio fondante della cucina templare, così ben spiegato da Jeong Kwan: la consapevolezza di ciò che stiamo mangiando o preparando, che ci permette di entrare in sintonia con il cibo stesso. E nel momento in cui lo cuciniamo dar vita a una sorta di scambio di energia reciproca nel momento in cui lo iniziamo a manipolare.

La ricetta del Rosolato di funghi shiitake in sciroppo di riso (accompagnato da verdure di stagione alla coreana condite con il Dubu jang, un dressing a base di tofu), che la monaca ci ha insegnato a fare, è la stessa che ha raccontato su Netflix e a cui è particolarmente legata poiché fu l’ultimo piatto che cucinò a suo padre quando andò a trovarla nel tempio per convincerla a tornare a casa.

Dopo averlo assaggiato il padre fu invaso da un profondo senso di pace e capì che quello era veramente il posto di sua figlia. Le disse infatti: Me ne torno a casa senza preoccupazioni, stammi bene” e morì dopo una settimana.

Ricrearla con lei, tra l’altro nel giorno del suo compleanno è stato davvero emozionante!

Cinque lezioni che possiamo trarre dalla cucina templare

Chiunque volesse avvicinarsi alla cucina templare di Jeong Kwan può farlo visitando il tempio buddhista in cui lei ancora vive, in Corea del Sud. Qui, si avrà la possibilità di assaggiare i piatti tipici della cucina buddhista coreana ma soprattutto si potrà conoscere un modo nuovo di vivere l’esperienza con il cibo – quello che noi abbiamo “assaporato” grazie all’esperienza organizzata dall’Istituto Culturale Coreano.

Si tratta di una cucina 100% vegetale, che rifiuta ingredienti dai sapori forti (potrebbero distrarre i monaci dalla preghiera e dalla meditazione), che pone al centro dell’atto culinario il prodotto da trasformare piuttosto che chi lo mangerà e che presta attenzione alla scelta degli ingredienti, alla loro stagionalità. Assolutamente senza uso di additivi chimici e senza sprechi di nessun tipo. Vediamo i principi alla questa di questa filosofia di vita.

Il cibo deve rispettare tutti gli esseri viventi

Mangiare è innanzitutto un atto di rispetto. Verso se stessi, certo, ma anche verso la natura che ci circonda e, in particolare, verso gli animali. Per questo motivo, la cucina templare coreana non prevede il consumo di prodotti animali a eccezione di alcuni latticini. Il rispetto per la vita di ogni essere vivente è sacro e necessario per vivere in pace con la natura. I buddisti considerano tutti gli esseri viventi preziosi come se stessi.

Il cibo deve essere salutare e rispettoso della natura

cucina monaci buddisti

@Greenme

Quante volte mangiamo prodotti di scarsa qualità, di cui non conosciamo la provenienza o la lista degli ingredienti, solo animati dalla gola? I monaci templari si nutrono di prodotti semplici, di stagione, salutari: in ogni stagione la natura ci offre ingredienti straordinari con cui preparare piatti deliziosi. Senza necessità di ricorrere ad additivi chimici e rispettando non solo la stagionalità, ma anche il grado di freschezza del singolo ingrediente.

Anziché fiondarci al centro commerciale, scegliamo di fare la spesa nei piccoli mercati, parliamo con i produttori locali e con i contadini, ascoltiamo la loro storia. Ogni prodotto, ogni ortaggio, non è mai uguale a se stesso, non avrà mai lo stesso aspetto, ma sarà sempre espressione di un determinato momento, di una determinata contingenza.

È possibile cucinare senza oli e spezie

verdure cucinate secondo la tradizione dei templi buddisti

@GreenMe

Per riuscire a mangiare le verdure, i cereali, i legumi e tutti i vari ingredienti il più possibile nella forma naturale,  la cucina templare ha sviluppato un peculiare modo di cuocere, condire, stufare,  arrostire, conservare sotto sale, ecc… in grado di esaltare i sapori naturali senza l’utilizzo di oli. Anche le salse usate, tutte rigorosamente autoprodotte a partire da uno o più ingredienti (es. salsa di soia, sciroppo di riso ecc…) sono dosate con estrema moderazione in modo che le varie pietanze traggano il loro sapore dagli ingredienti stessi.

Oltre a rinunciare a carne e derivati, la cucina templare coreana mette al bando anche cinque verdure considerate dei “distrattori” dalle attività di preghiera e meditazione per via del loro sapore piuttosto deciso:

  1. cipolla,
  2. aglio,
  3. erba cipollina,
  4. porri
  5. cipollotti.

Al posto di queste spezie che potrebbero risultare dei distrattori per la via ascetica, la cucina dei templi buddisti prevede un largo uso di funghi in polvere, brodo d’alga, salsa di soia, sciroppo di riso e semi che sono ampiamente utilizzati come esaltatori di sapore o per la preparazione di brodi. Oltre a tutti gli odori delicati che non recano disturbo.

L’importanza dei cibi fermentati

Per conservare i cibi anche fuori dalla loro stagione e per esaltarne naturalmente il sapore, la cucina dei monaci coreani fa largo uso della tecnica della fermentazione. Un esempio di questo è la preparazione del kimchi, un piatto a base di verdure fermentate e spezie, utilizzato come contorno o in accompagnamento al riso.

Il cibo e la medicina hanno la stessa radice

Non dobbiamo pensare di vivere per mangiare, ma piuttosto il cibo deve essere lo strumento con cui riuscire a vivere una vita bella e piena. La prima regola per fare questo è ascoltare il nostro corpo e i suoi bisogni, senza lasciarci sedurre dalla nostra golosità. Alla base della cucina dei templi buddisti, ma anche, in generale, di quella coreana, c’è un’alimentazione incentrata sulle verdure, su alimenti privi di grasso e ipocalorici, nel rispetto di tutti i nutrienti necessari al corpo (e alla mente) per svolgere tutte le sue funzioni. Grazie alla soia c’è un grande apporto di proteine, di minerali e di fibre.

Nutrirsi non vuol dire solo mangiare, ma anche bere l’acqua fresca, respirare al mattino, meditare con consapevolezza. Attraverso la meditazione, possiamo istaurare un rapporto più sano con il cibo che diventa nostro amico, nostro alleato – non un nemico da evitare. Come insegnano i monaci buddhisti, riempiamo poco il nostro piatto e non lasciamo mai avanzi: ridurremo lo spreco alimentare ma anche le abbuffate dettate dalla nostra sterile voglia di cibo che non è nutrimento.

monaca Jeon Kwan

La monaca Jeong Kwan emozionata per la torta a sorpresa nel giorno del suo compleanno – @GreenMe

In conclusione, la cucina dei templi rappresenta l’essenza della cucina a cui tutti dovremmo ambire per far pace con noi stessi e col Pianeta che ci ospita: è naturale e salutare, utilizza verdure di stagione, non fa ricorso a condimenti artificiali ed è ricca di nutrienti. Ma soprattutto, è una cucina che rispetta tutti: vive in armonia con Madre Natura e contrasta ogni forma di spreco alimentare.

Per chi volesse approfondire e anche cimentarsi nella cucina dei templi buddisti, può consultare gli eventi organizzati nei diversi templi coreani o, in Italia, organizzati dall’istituto di cultura coreano

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