Sale da cucina: la nostra dose quotidiana di microplastiche

Le microplastiche non risparmiano neanche il sale da cucina. Proprio così, anche nei minuscoli frammenti di sale sono presenti tracce di plastica inferiori ai 5 millimetri. Lo ha rivelato un nuovo studio condotto da Greenpeace e l’Università di Incheon in Corea del Sud

Le microplastiche non risparmiano neanche il sale da cucina. Proprio così, anche nei minuscoli granelli di sale sono presenti tracce di plastica inferiori ai 5 millimetri. Lo ha rivelato un nuovo studio condotto da Greenpeace e l’Università di Incheon in Corea del Sud.

C’è poco da stupirsi. Le microplastiche sono ormai ovunque. È già stato dimostrato che esse sono presenti in alcune bibite e drink e nei pesci che portiamo sulle nostre tavole. Ma anche il sale da cucina purtroppo deve fare i conti con questo tipo di contaminazione.

Il nuovo studio ha preso in esame 39 campioni di sale marino, di miniera e di lago, provenienti da diverse nazioni inclusa l’Italia, e ha dimostrato che quasi tutti, ben 36 contenevano frammenti di plastica inferiori ai 5 millimetri, le famigerate microplastiche. Si tratta della prima ricerca condotta su vasta scala che mette a confronto il sale proveniente da aree geografiche anche molto diverse.

Che tipo di plastica è stata trovata?

Le analisi dei campioni hanno trovato principalmente Polietilene, Polipropilene e Polietilene Tereftalato (PET), le tipologie di plastica più usate per produrre imballaggi usa e getta.

I risultati

Ovviamente, il sale più ricco di microplastiche è quello in cui i livelli di inquinamento marino sono maggiori. Dei campioni analizzati, quelli provenienti dall’Asia presentavano i livelli medi di contaminazione più elevati con picchi fino a 13mila microplastiche in un campione proveniente dall’Indonesia che, non a caso, è seconda per l’apporto globale di plastica nei mari.

microplastiche sale da cucina

Dei tre, il sale più “inquinato” è quello marino. In generale nei campioni di questo sale è emersa una maggiore presenza di microplastiche (tra 0 e 1674 unità per chilo, escludendo il campione indonesiano). A seguire troviamo quello proveniente laghi salati con microplastiche comprese tra 28 e 462 per chilo) e infine dalle miniere (comprese tra 0 e 148 microplastiche per chilo).

Il sale italiano

Anche i 3 campioni di sale provenienti dall’Italia, due di tipo marino e uno di miniera, sono risultati contaminati dalle microplastiche, con un numero di particelle compreso tra 4 e 30 unità per chilogrammo.

Stando ai risultati emersi dalla ricerca, se si considera l’assunzione media giornaliera di 10 grammi, un adulto finirebbe per ingerire, solo attraverso il consumo di sale da cucina, circa 2 mila pezzi di microplastiche all’anno considerando la concentrazione media in tutti i sali analizzati. Se restringiamo il campo solo a quelli italiani, questo numero scende a 110.

Numerosi studi hanno già dimostrato la presenza di plastica in pesci e frutti di mare, acqua di rubinetto e adesso anche nel sale da cucina. Questa ricerca conferma la gravità dell’inquinamento da plastica e come per noi sia ormai impossibile sfuggire a tale contaminazione” ha detto Giuseppe Ungherese, responsabile Campagna Inquinamento di Greenpeace Italia. “È necessario fermare l’inquinamento alla radice ed è fondamentale che le grandi aziende facciano la loro parte riducendo drasticamente l’impiego della plastica usa e getta per confezionare i loro prodotti”.

Anche altri studi avevano già dimostrato che il sale che finisce sulle nostre tavole contiene microplastiche. Il problema riguarda il fatto che molti alimenti ne sono contaminati. Di conseguenza, la quantità che finisce nel nostro organismo è sempre di più.

Purtroppo possiamo fare ben poco. Nel nostro piccolo, cerchiamo di conferire correttamente la plastica nella differenziata e di ridurne il più possibile il ricorso.

La ricerca è stata pubblicata su Environmental Science & Technology.

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Francesca Mancuso

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