Xylella: i pesticidi ci uccideranno. Intervista all’oncologo Giuseppe Serravezza

Nel Salento si muore di tumore di più di altre regioni del Sud, pur non essendoci grossi impianti chimici o con emissioni tossiche, come nelle province di Brindisi e Taranto. Il suolo è contaminato da cancerogeni e lo stiamo continuando ad avvelenare con i pesticidi anti Xylella. Alto rischio di tumori nei prossimi decenni se non si ricorre ai ripari

Nel Salento si muore di tumore di più di altre regioni del Sud, anche nella provincia di Lecce, dove non ci sono grossi impianti chimici o con emissioni tossiche. Il suolo è contaminato da cancerogeni e lo stiamo continuando ad avvelenare con i pesticidi anti Xylella. Alto rischio di tumori nei prossimi decenni se non si ricorre ai ripari.

Uno studio, che ha analizzato le matrici ambientali nell’area, ha evidenziato una preoccupante contaminazione, soprattutto del suolo, anche dove l’incidenza dei tumori è più bassa. Questo perché i tumori di oggi sono dovuti alle contaminazioni del suolo di 20, 30 o 40 anni prima. Il lavoro pone una seria allerta sul futuro, in una zona ora avvelenata anche dai trattamenti fitosanitari anti Xylella.

Il lavoro, condotto nell’ambito del progetto GENEO, ha analizzato le matrici ambientali (aria, acqua, e suolo) di 32 comuni del Salento e contemporaneamente ha effettuato uno studio epidemiologico sul tasso di incidenza (e mortalità) di tumore, cercando di evidenziare una correlazione tra le contaminazioni e i morti di cancro. Ma i risultati sono stati del tutto inattesi.

Per saperne di più, abbiamo intervistato Giuseppe Serravezza, Direttore dell’Unità Complessa di Oncologia del Sud Salento e Responsabile Scientifico della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori (LILT) di Lecce, che ha preso parte alla ricerca.

Una situazione sanitaria preoccupante

“Stiamo monitorando un problema epidemiologico molto serio da un quarto di secolo. Specialmente nel basso Salento (provincia di Lecce, N.d.R.), contro tutte le attese, registravamo una situazione sanitaria molto preoccupante. E incomprensibile apparentemente, perché nell’area non insistono grossi impianti industriali ad alto tasso di inquinamento e di impatto ambientale rilevante. Ci sono piccole realtà, al massimo un cementificio un po’ più grande, ma distante dalle problematiche ambientali di Brindisi e Taranto”.

Con queste parole iniziano le spiegazioni (e le allerte) dell’oncologo, che per primo non si aspettava i risultati del lavoro.

“Notammo che a Lecce si moriva di più di cancro rispetto a Brindisi e Taranto. E i dati venivano confermati, anzi, in trend crescente. Ma abbiamo comunque impiegato 20 anni a far ammettere anche alle amministrazioni pubbliche una situazione sanitaria così importante. Varie cause sono state ipotizzate: il CNR sostiene che tramite i venti tutto quello che viene immesso in atmosfera dalle ciminiere di Taranto o dagli impianti chimici di Brindisi, per un fenomeno ad ombrello, finisce nel basso Salento”.

“Da uno studio condotto da noi (progetto GENEO), che ha analizzato le matrici ambientali, è emerso che in 32 comuni esiste una contaminazione del suolo a livelli preoccupanti, determinata da cancerogeni come arsenico, berillio, vanadio, trovati anche nelle province di Brindisi e Taranto. Accanto a questo abbiamo rilevato che, in controtendenza su quanto avviene nel nord Italia e nel nord Europa dove le curve di incidenza e mortalità per cancro tendono a scendere, nel nostro Meridione, quasi risparmiato dal fenomeno fino a 20 anni fa, tali curve sono addirittura impennate”.

Una contaminazione del suolo che non fa ben sperare per il futuro

Tutto faceva presagire dunque che la contaminazione da cancerogeni fosse correlata ai malati di cancro, ma così non è.

“Lo studio GENEO, appena terminato, mirava a determinare se esistesse una correlazione tra i dati epidemiologici, ovvero il numero di malati/morti per cancro e lo stato di contaminazione del suolo in tutti i comuni campione, anche perché questo avrebbe potuto spiegare anche le eventuali cause. Abbiamo condotto lo studio in modo molto rigoroso, includendo nello studio i comuni con il più basso tasso di incidenza della malattia, attendendoci in questo caso uno stato di contaminazione del suolo migliore. Ma questa correlazione non è stata confermata”.

In altre parole, anche dove i morti e i malati erano in numero inferiore, la contaminazione non era molto diversa. Ma perché?

“Il problema è che molti dei morti che registriamo oggi con gli studi epidemiologici sono frutto delle esposizioni di 20, 30 e anche 40 anni prima. Questo perché i processi di cancerogenesi, soprattutto dei tumori solidi, sono lunghissimi. Per questo si può anche studiare lo stato di contaminazione del suolo dei comuni della provincia di Lecce, ma non si può spiegare il tasso di mortalità per cancro di oggi”.

Perché allora questi studi sono importanti?

“Lo studio suggerisce una previsione di quello che sarà lo stato di salute degli abitanti tra 20, 30, 40 anni. Il messaggio alle amministrazioni deve essere questo: è inutile fare indagini epidemiologiche oggi, ma un’analisi rigorosissima dell’esposizione oggi per non essere costretti a contare i morti domani. Trovare gli inquinanti significa trovare la causa e significa poterla rimuovere in modo da salvare migliaia di vite umane. Non dobbiamo tanto contare i morti oggi, ma controllare e risanare le matrici ambientali acqua, aria e suolo. E soprattutto il suolo, che è la memoria storica di quello che si è accumulato negli anni e nei decenni. L’aria è passeggera, ma anche gli inquinanti presenti nell’aria poi finiscono nel suolo”.

Allerta pesticidi anti Xylella: stanno avvelenando ulteriormente la zona

Dalle parole dello scienziato, se da un lato emergono dati preoccupanti, dall’altro si evincono anche ottimi spunti per il futuro. Ricorrere ai ripari oggi potrebbe salvare moltissime vite umane domani. Purtroppo però la tendenza non sembra questa, visto che, accanto alle solite (e discutibili) pratiche umane non rispettose dell’ambiente, attualmente il Salento è devastato dai trattamenti fitosanitari che mirano a combattere la Xylella, il pericoloso batterio che sta distruggendo gli ulivi della regione.

2 trattamenti in primavera-estate, 2 in autunno, per un totale di 4 irrogazioni di pesticidi obbligatori che, oltre a non essere ammessi in agricoltura biologica, si sono rivelati pericolosi per le api, aggiungendo preoccupazione per un intero ecosistema. Ma tutto questo serve? O peggiorerà le cose? Anche su questo ci ha risposto Serravezza.

“Ci siamo occupati anche della vicenda pesticidi che si stanno usando in massa per distruggere il batterio della Xylella. Io sono un medico e se devo amputare un braccio o una gamba per salvare una vita umana, lo faccio. Così come per salvare i miei 30 alberi di ulivo io farei qualunque cosa. Se avessi la dimostrazione che 4 irrorazioni con i neonicotinoidi servisse a salvare gli alberi sarei folle a oppormi. Tra l’altro sono 50 anni che buttiamo chimica nelle nostra campagne. Ma non esiste alcuna prova che questo serva. Nessun dato oggettivo nè pratico, eppure se ne sono tentate tutte. E non esiste soprattutto alcun dato scientifico. Non capisco il senso di questa cosa”.

Un senso che a questo punto non capiamo neppure noi, anche perché, purtroppo, non sono molecole innocue neppure per noi, come lo stesso scienziato ci conferma. “Conosciamo bene l’impatto che tali pratiche avranno: peggioreranno lo stato di contaminazione del suolo e delle acque che è già grave e preoccupante”.

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“Dovremmo avere tanta umiltà”

La scienza non è perfetta, è fatta di uomini e da uomini, che per loro natura sono limitati.

“Io non ho la risposta, ma so che, di fronte ai dubbi e alle incertezze che la scienza mostra, bisogna sospendere il giudizio e stare attenti a non fare danni. E se diamo tempo a Madre Natura – spesso lo vediamo anche con gli esseri umani – lei aggiusta la cose da sè” aggiunge alla fine l’oncologo.

“Su molte malattie non abbiamo strumenti oggettivi validi, e in questo caso quello che dobbiamo fare è supportare gli organismi nell’attesa che riescano a fabbricare loro stessi gli strumenti che noi non riusciamo a garantire. Abbiamo avuto una malattia funginea che ha ammazzato agrumeti un po’ ovunque in Sicilia e in Calabria, e si è tentato di tutto per riuscire a fermarla ma niente. Da due anni è cambiato tutto: la natura ha risposto in un modo che non riusciamo a capire perché le nostre conoscenze sono limitate. Dovremmo avete tanta umiltà. Ma questo, purtroppo, non sta avvenendo. Eppure Madre Natura, nonostante noi, è riuscita a volte a rimettere tutto in uno stato di sostenibilità” conclude Serravezza.

Umiltà, questa sconosciuta. La cui assenza ci sta uccidendo.

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Roberta De Carolis

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