Lattoferrina contro Covid-19: cosa sappiamo fin’ora e la nuova sperimentazione dell’Ospedale di Biella

Alcuni studi ritengono che la lattoferrina sia un'arma utile nel trattamento di Covid-19. Ora all'ospedale di Biella parte la sperimentazione

Può davvero la lattoferrina essere una valida alleata contro il coronavirus? Diversi studi propendono a favore dell’efficacia di questa glicoproteina. Ora una nuova sperimentazione, condotta dall’Ospedale di Biella, punta a fare chiarezza sulle potenzialità della lattoferrina nel trattamento dei pazienti Covid-19.

Nel corso di questi mesi di pandemia, alcune ricerche hanno dimostrato come la lattoferrina, presente in tutte le secrezioni umane (latte materno compreso), sia utile non solo ad aumentare la difese immunitarie ma anche ad agire come potente anti-infiammatorio.

Tutte caratteristiche che potrebbero tornare utili anche a contrastare il Covid-19.

Gli studi sulla lattoferrina

In particolare si è tanto discusso dello studio italiano, effettuato da un team di clinici di Tor Vergata che partendo da un dato di fatto, ovvero che i bambini sono generalmente i meno colpiti dal Covid-19  e, anche se infetti, reagiscono meglio al virus, hanno voluto indagare la possibilità di utilizzare la lattoferrina nel trattamento dei pazienti positivi (Leggi anche: Immunità naturale dei bambini, la lattoferrina funziona anche contro Covid-19).

I risultati sono stati buoni: la somministrazione di lattoferrina sotto forma di una formulazione liposomiale innovativa aveva favorito la remissione dei sintomi (senza effetti collaterali), portando ad un tampone negativo dopo 12 giorni di trattamento.

Parallelamente a questa ricerca, anche lo studio clinico de La Sapienza di Roma, eseguendo delle prove in vitro sull’efficiacia antivirale della lattoferrina, aveva dimostrato la sua capacità di inibire l’infezione da SARS-CoV-2, bloccando le fasi precoci dell’interazione virus-cellula.

Più di recente, i risultati di questo studio sono stati confermati dai dati raccolti da due medici di Firenze che hanno trattato 25 pazienti positivi a Sars-CoV-2 (asintomatici, paucisintomatici o moderatamente sintomatici) con la lattoferrina, nello specifico con l’integratore Mosiac. L’esperienza di questi dottori è stata presentata nell’ambito di un convegno organizzato da Francesco Tursi, primario di Pneumologia dell’Ospedale di Codogno.

In quella occasione il dottor Enrico Naldi ha dichiarato:

“La somministrazione di lattoferrina può ridurre la sintomatologia prevenendo l’aggravamento della malattia da Covid-19 e il conseguente ricovero ospedaliero. La lattoferrina è una proteina presente in tutti le secrezioni umane compreso il latte materno ed è stata utilizzata nel trattamento di pazienti positivi per contrastare la malattia al suo esordio. Infatti, grazie alla sua documentata attività immunomodulante costituisce una naturale difesa dell’organismo verso le infezioni (…) E tutti i pazienti hanno avuto remissione della sintomatologia e nessuno di essi ha necessitato di ospedalizzazione”.

Vi è anche un recente studio, pubblicato su Biomedicine and Pharmacotherapy, che ha indagato il ruolo del ferro nella patogenesi del Covid-19 e un possibile trattamento con lattoferrina e altri chelanti del ferro.

La ricerca analizza la questione da un altro punto di vista. Gli autori riferiscono che l’inefficienza polmonare osservata nei pazienti Covid-19 potrebbe non essere causata dal solo danno cellulare nei polmoni. Il virus può anche attaccare e distruggere l’emoglobina, con conseguente rilascio di ferro, immissione in circolo e conseguente sovraccarico.

La sovrabbondanza di ferro libero può esacerbare le condizioni infiammatorie attraverso il danno ossidativo indotto dai ROS e la ferroptosi (tipo di morte cellulare programmata dipendente dal ferro). Se non trattata, la ferroptosi promuove una serie di reazioni che aumentano l’infiammazione e provocano insufficienza multiorgano, danno polmonare e ridotta capacità polmonare.

Nelle conclusioni gli autori scrivono:

“Poiché il sovraccarico di ferro contribuisce al COVID-19, uno dei potenziali trattamenti utilizzati è la lattoferrina (Lf). Questa glicoproteina è rimasta una parte dell’immunità naturale del corpo grazie alla sua gamma di effetti terapeutici. (…) Oltre agli effetti sul sistema immunitario, la lattoferrina riduce anche l’infiammazione modulando la produzione di citochine e ROS, che a sua volta riduce il sovraccarico di ferro. È stato anche scoperto che Lf inibisce il legame dei proteoglicani di eparan solfato, prevenendo l’ingresso virale“.

La sperimentazione dell’Ospedale di Biella

È iniziata, all’Ospedale della Asl di Biella, la sperimentazione che si propone di mettere a punto una cura contro il Covid-19 a base di lattoferrina.

Lo studio è stato ideato e sarà coordinato da Paolo Manzoni, Direttore della Pediatria e Neonatologia dell’ASL BI, in sinergia con i Responsabili dei Reparti COVID, del Pronto Soccorso e del Dipartimento di Medicina. Alla ricerca parteciperà anche l’Ospedale Maggiore della Carità di Novara, in particolare con la figura del dottor Pier Paolo Sainaghi.

Nei giorni scorsi è stato arruolato il primo paziente che, positivo alla malattia e ricoverato presso la struttura di Biella, si è mostrato disponibile a partecipare allo studio che prevede la divisione del campione di persone selezionate in due gruppi. Al primo verrà somministrata la lattoferrina, al secondo solo un placebo.

Il tutto sarà portato avanti in doppio cieco, ovvero sia il paziente che il medico non sapranno quale è il farmaco somministrato e in che dosi, in modo che lo studio possa essere il più obiettivo e neutrale possibile.

Come ha dichiarato il dottor Manzoni:

“Sono assai pochi in questo momento, anche a livello internazionale gli studi realizzati nel campo della terapia del COVID-19, e quello avviato a Biella è sicuramente innovativo e ambizioso, oltre che ulteriore dimostrazione del grande impegno di tutta la comunità medica ed infermieristica dell’ASL BI nel contrasto della pandemia.  La metodica in doppio cieco ci consente di orientare lo studio con il massimo rigore scientifico possibile, per poi valutare gli effetti della somministrazione sulla base di una serie di parametri: l’evoluzione della malattia, la riduzione dei sintomi, la tempistica con cui il paziente si negativizza, la durata del ricovero in ospedale, ecc. Proseguiremo con la raccolta dei dati fino a maggio e dopo procederemo con la valutazione dei risultati ottenuti”.

Aspettiamo con ansia di conoscere i risultati di questo nuovo studio.

Fonti: Asl  Biella / Sanità24 / Pubmed

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Francesca Biagioli è una redattrice web che si occupa soprattutto di salute, alimentazione naturale, consumi e benessere olistico. Laureata in lettere moderne, ha conseguito un Master in editoria
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