Auto: emissioni di CO2 dichiarate false, ma l’inquinamento è reale

Essendo proporzionali ai consumi di carburante, non ci voleva poi molto a capire che i dati sulla CO2 emessa dichiarati dalle Case automobilistiche non corrispondono alla realtà.

Essendo proporzionali ai consumi di carburante, non ci voleva poi molto a capire che i dati sulla CO2 emessa dichiarati dalle Case automobilistiche non corrispondono alla realtà. Nel 2007 a dare la stura al caso fu un’inchiesta della testata tedesca Auto Motor und Sport, seguita da una analoga di Quattoruote, che svelò che i consumi delle auto dichiarati dai costruttori sono superiori in una percentuale variabile fino al 53% in più.

Per forza. Per legge in 50 stati sono calcolati al banco di prova per un tempo complessivo di 1.180 secondi, più o meno 20 minuti: per 780 secondi si misura il consumo in città, per 400 secondi quello di un viaggio in autostrada, per 10 secondi al massimo si raggiunge invece la velocità di 120 km/h. Condizioni irreali certamente, falsate ulteriormente dal fatto che durante i test l’auto sta ferma e quindi non ha nessuna resistenza all’avanzamento dovuta al normale effetto del movimento, del vento, delle pendenze.

Adesso la stessa testata tedesca ritorna sull’argomento pubblicando le reali emissioni di CO2 ricavate da rilevazioni strumentali su alcune delle auto fra quelle che dovrebbero essere fra le più ecologiche. Risultato: dal 17 al 47% al di là del valore dichiarato nei test che gli stessi fabbricanti eseguono e che sono tenuti a diffondere.

La Toyota Prius, bandiera delle quattro ruote ecologiche, invece che 89 g/km di CO2 ne emetterebbe ben 128, con un consumo di 4,7 l/100 km invece che di 3,9 secondo quanto dichiarato dai giapponesi. È normale che sia così: i parametri imposti dalla legge servono per ottenere un dato univoco che permette di comparare un’auto con l’altra, da utilizzare poi per le normative legate emissioni, come quella della UE che dal 2012 imporrà una riduzione graduale con l’obiettivo di raggiungere al massimo 95 g/km entro il 2020.

Quello che deve far riflettere, anzi indignare, è che l’inquinamento derivato dal trasporto sta aumentando. Lo dice, come abbiamo visto, il rapporto Ambiente Italia 2010 di Legambiente: con un parco circolante di circa 38 milioni di veicoli su 60 milioni di abitanti abbiamo quasi 6 auto ogni 10 abitanti (+91% dal 1980), i mezzi privati coprono l’82% della domanda di mobilità, i consumi per i trasporti sono cresciuti del 24% e le merci viaggiano su strada per il 71,9% rispetto a treni e navi.

In un esercito di 14 milioni di pendolari solo 2.640.000 usano il treno per raggiungere il posto di lavoro nelle grandi aree metropolitane. Siamo cioè diventati il terzo paese d’Europa per emissioni di CO2 (eravamo quarti nel 2000) principalmente a causa dei trasporti su gomma, raggiungendo quota 550 milioni di tonnellate di CO2: un incremento del 5% che rappresenta un controsenso rispetto all’intera Europa a 15 che è scesa del 4,3% rispetto al 1990. Germania, Regno Unito e Francia sono invece già oltre la riduzione del 6,5% entro il 2010 prevista dal Protocollo di Kyoto.

Al di là del fatto ambientale, è innegabile che l’auto ha ormai un impatto negativo sulla qualità della nostra vita. La stessa ACI ha dichiarato che nel 2009, anche se sono calati, ci sono stati comunque sulle nostre strade oltre 218.00 incidenti, più di 310.000 feriti e 4.731 morti.

Sempre secondo l’ACI in un anno a Roma si passano 21 giorni in auto e si spendono 1351 euro pro capite. Riesce dunque difficile capire quale logica di sviluppo il Paese stia seguendo: va bene che le auto di oggi sono più efficienti, ma aver proposto per tre anni di seguito gli incentivi (nel 2010 non verranno rinnovati), annunciare l’apertura della Orte-Mestre (20 cavalcavia, 226 sottovia, 83 svincoli, 2 barriere di esazione e 15 aree di servizio, costo 1.428,2 milioni di euro per 9 anni di lavoro) e rispondere alle polveri sottili con i blocchi del traffico o pensare di imporre limiti a 90 km/h, senza realizzare trasporti pubblici al livello dei nostri vicini di casa, significa pisciare in mare sperando che si alzi il livello.

Daniele Pizzo

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