Essere sostenibili non vuol dire essere vegan: ecco perché

L’allevamento di animali destinati al commercio alimentare è certamente non solo lo la causa di infinite sofferenze per gli animali allevati, ma anche una delle principali cause del cambiamento climatico e del consumo energetico del nostro pianeta. Per molti, adottare uno stile di vita vegan ovvero una dieta alimentare che escluda il consumo di qualsiasi prodotto di origine animale, è la cosa più giusta da fare per diminuire il più possibile il proprio impatto sull’ambiente e la sofferenza degli animali. Essere vegan dunque è sinonimo di essere sostenibili?

L’allevamento di animali destinati al commercio alimentare è certamente non solo lo la causa di infinite sofferenze per gli animali allevati, ma anche una delle principali cause del cambiamento climatico e del consumo energetico del nostro pianeta. Per molti, adottare uno stile di vita vegan ovvero una dieta alimentare che escluda il consumo di qualsiasi prodotto di origine animale, è la cosa più giusta da fare per diminuire il più possibile il proprio impatto sull’ambiente e la sofferenza degli animali. Essere vegan dunque è sinonimo di essere sostenibili?

Stando anche alle considerazioni della giovane giornalista americana Abigail Wick che per quasi dieci anni ha seguito fedelissima questa scelta, sembra proprio di no. Come spiega nel suo interessantissimo articolo The Conscious Case Against Veganism il “veganismo ha smesso di essere sinonimo di trattamento etico di animali e persone diventando il più delle volte una moda o ancor peggio un dogma troppo stretto. Consumo consapevole significa mangiare e vivere etico, non religioso!

Prendendo spunto da quanto racconta la Wick abbiamo provato a riassumere alcune delle contraddizioni più comuni che spesso si incontrano nel momento in cui si fa una scelta di vita come quella vegan.

Uova

Guardando il video shock “Hatchery horrors” condotto dalla Mercy for Animals con una telecamera nascosta in una delle più grandi fabbriche dello Stato dell’Iowa, la Hy-Line, ci si rende conto di quanti orrori sono legati alla produzione di uova per il conseguente consumo alimentare. Forse dopo la visione di questo video anche chi non è vegano deciderebbe di non mangiare mai più uova in vita sua. Ma per un consumo che sia davvero consapevole non è necessario rinunciare ad una buona e genuina frittata o ad un ovetto fresco la mattina: infatti basta dire stop all’acquisto di uova nei supermercati (a meno che non siano effettivamente certificate come biologiche – con il codice 0 sulla confezione – ) e recarsi da produttori locali che allevano un numero esiguo di galline lasciando loro spazi adeguati per muoversi e nutrendole non con i soliti mangimi ma con erba fresca e verde. Anche perché se poi come alternativa alle uova si ricorre a prodotti come questi, siamo davvero sicuri che sia la scelta più naturale e sostenibile per il pianeta o per la salute?

Miele

Come succede spesso sottrarre alle api il miele prodotto ed estrarre a questi magnifici insetti tutto quello che hanno immagazzinato nel periodo estivo per la nutrizione della colonia durante l’inverno (che avviene in sostituzione con degli sciroppi di zucchero) è una crudeltà che molti apicoltori ancora oggi praticano in nome del profitto. Ma non solo, infatti legate alla produzione di miele e di altri prodotti quali cera d’api o pappa reale, ci sono tante pratiche che prevedono uno sfruttamento fino alla distruzione degli alveari stessi.

Ma non tutti gli apicoltori sono degli assassini e non tutto il miele viene prodotto adottando queste pratiche omicide. Acquistare miele da un produttore locale, che si occupa di assistere pochi alveari curandoli ed estraendo la giusta quantità di miele, proveniente dall’impollinazione di piante e fiori circostanti, ha un impatto ambientale decisamente più basso che acquistare dolcificanti quali lo zucchero bianco o di canna, il più delle volte importati e per il quali il trasporto contribuisce all’aumentare sempre più costante di CO2 nell’aria. Ma non solo, infatti spesso nelle piantagioni da cui provengono questi tipi di dolcificanti i lavoratori sono sfruttati e sottopagati per non parlare delle condizioni di non sicurezza sul lavoro a cui sono costretti. Esempi di apicoltori che ancora allevano le api in maniera sostenibile ce ne sono molti e vi invitiamo a leggere la storia di Lorenzo e dei suoi alveari. E lui in Italia non è certo un caso isolato!

Latte

Purtroppo come la produzione di uova anche quella del latte è legata alla sfruttamento delle mucche soprattutto quelle “da latte”, selezionate ed inseminate in modo artificiale ogni anno, per indurle costantemente al parto. Così facendo la mucca “può produrre” latte senza interruzione. Ma non basta. Questa specie di mucche passano la maggior parte della loro vita in gravidanza e una volta partorito vengono munte per mesi dovendo produrre più latte possibile e non potendo però nutrire i propri vitelli che invece vengono allontanati appena nati e nutriti artificialmente.

A causa di questo sfruttamento l’animale si ritrova con malattie alle mammelle con conseguenti altre sofferenze. Consumare latte quotidianamente si traduce dunque nel contribuire all’aumento di questo sfruttamento così innaturale.

Tutto questo però non vuol dire di no ad un bicchiere di latte fresco o ad una fetta di formaggio, offerti da un contadino-allevatore locale per il quale la priorità non è la produzione bensì la cura delle sue mucche (capre o pecore). Il latte è un alimento molto genuino e se siamo certi della sua provenienza, dei metodi di mungitura e della qualità dell’allevamento è di sicuro anche un alimento il cui consumo è altamente più eco-sostenibile se paragonato a quello di qualsiasi latte vegetale, quale ad esempio quello di soia. Infatti siamo sempre sicuri che nel corso dell’intero processo dai campi (che molto spesso sono in paesi extraeuropei con conseguente aumento di emissioni di CO2 dovute al trasporto) fino a quando il prodotto lascia gli stabilimenti, ne vengano effettivamente conservati tutti gli ingredienti originali?

Ostriche

Questi molluschi bivalvi tecnicamente non fanno parte del regno vegetale, ma mangiare ostriche è eticamente equivalente a divorarsi una dietro l’altra una grande ciotola di patatine al sapore di mare. Ma allora in questo caso cosa si deve fare? Semplice: ricordarsi che il principio primario del veganismo è ridurre al minimo la sofferenza per gli animali e per il nostro pianeta. Un’ostrica non ha un sistema nervoso centrale, il dolore causato dall’esperienza di crescita in un allevamento di mare è praticamente indistinguibile da quella vissuta da una patata quando viene rimossa dal terreno. In più l’allevamento di ostriche è uno dei pochi più sostenibili al mondo. Infatti la loro produzione viene incentivata in quanto aumentano la qualità dell’acqua marina, essendo “gli architetti delle scogliere, delle baie e degli ecosistemi marini che le ospitano e le proteggono durante le diverse fasi della loro crescita “. Così mentre per le ostriche forse uno strappo alla ferrea regola si può fare, da molluschi simili quali ad esempio le vongole è meglio stare lontani, infatti il loro allevamento è uno dei più dannosi al nostro ecosistema.

Lana

È più eticamente consapevole acquistare una coperta confezionata con la lana di pecora allevata con i giusti criteri o una di cotone realizzata utilizzando questo tessuto naturale e vegetale si ma proveniente da coltivazioni in cui i lavoratori sono sottoposti a condizioni di lavoro pessime, sotto pagati e in cui il territorio non viene coltivato bensì sfruttato per produrre sempre di più? Tra le due soluzioni sarebbe di certo preferibile acquistare solo capi realizzati con cotone proveniente da coltivazioni biologiche, ma ad oggi ancora non siamo pronti a questa scelta essendo il mercato italiano ancora molto povero di tali prodotti.

Se essere vegan significa essere eco-consapevoli dunque, forse la scelta migliore sarebbe la prima. Oltretutto anche per la lana ad oggi esistono le certificazioni, infatti questa per essere certificata come biologica deve essere prodotta secondo delle norme che rispettano dei rigidi requisiti quali ad esempio quelli riguardanti i mangimi e i foraggi utilizzati che devono essere a loro volta certificati come organici, non possono essere usati pesticidi per i pascoli ed inoltre i produttori devono in primis favorire il benessere del bestiame attraverso buone pratiche culturali e di gestione.

Pelle

Per chi ha scelto uno stile di vita vegan, e dunque in cui si rinuncia a tutto ciò che proviene dal mondo animale, non si tratta solo di evitare alcuni cibi ma ovviamente anche alcuni capi di abbigliamento. Sono infatti proibiti stivali, scarpe, giacche, cinte o anche accessori quali borse portafogli capelli ecc..

Ma per un stile di vita che sia allo stesso tempo anche eco-friedly è più giusto rinunciare all’acquisto di una giacca in pelle al negozio dell’usato, e dunque riciclare e riusare vecchi capi d’abbigliamento, oppure contribuire all’aumento del consumo in massa di nuovi?

O ancora è più green ridare vita ad un vecchio paio di scarpe in pelle o acquistarne un bel paio nuove all’ultima moda ma rigorosamente di plastica? Certo ormai sul mercato ci sono molti prodotti realizzati con materiali riciclati o riciclabili, ma quanti effettivamente ad oggi ne vengono acquistati personalmente?

Secondo me essere sostenibili è sinonimo di essere critici e consapevoli al di là di qualsiasi dogma o fondamentalismo. E per voi?

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