Sprechi alimentari: per la FAO potrebbero sfamare l’intera Africa

Con la quantità di cibi che finiscono ogni anno nelle discariche dei Paesi più ricchi, sarebbe possibile sfamare quelle popolazioni che soffrono a causa di carestie ed impossibilità di accesso alle risorse alimentari. Non si tratta di un luogo comune, ma di una questione concreta, posta in evidenza da dati recenti rilasciati dalla FAO.

Gli sprechi alimentari rappresentano uno dei maggiori fallimenti del sistema di produzione, distribuzione e consumo di cibo all’interno dei Paesi industrializzati. Purtroppo non ci riferiamo solamente agli scarti alimentari casalinghi, che è possibile evitare ponendo maggiore attenzione a ciò che conserviamo in frigorifero o in dispensa nonché alla quantità di cibo più adatta da preparare quotidianamente, ma ad un fenomeno su larga scala che interessa sia la filiera produttiva che la grande distribuzione.

Con la quantità di cibi che finiscono ogni anno nelle discariche dei Paesi più ricchi, sarebbe possibile sfamare quelle popolazioni che soffrono a causa di carestie ed impossibilità di accesso alle risorse alimentari. Non si tratta di un luogo comune, ma di una questione concreta, posta in evidenza da dati recenti rilasciati dalla FAO. Oltre il 30% del cibo prodotto per il consumo alimentare umano viene sprecato, per un ammontare di 222 milioni di tonnellate di alimenti che ogni anno vengono gettati complessivamente dai Paesi industrializzati e destinati alle discariche. Secondo la FAO, una simile quantità di cibo gettato nelle discariche potrebbe riuscire a sfamare l’intera popolazione dell’Africa Sub-Sahariana. L’Italia è responsabile di circa il 10% del totale degli sprechi, con 8,8 milioni di tonnellate di cibo sprecate all’anno, che sono responsabili di una perdita in denaro per ciascuna famiglia di 454 euro all’anno.

I Paesi che sprecano di più

Per quanto riguarda gli sprechi domestici pro-capire, il Paese con il comportamento peggiore risulta essere l’Inghilterra, con 110 kg di alimenti sprecati da ciascuno dei suoi abitanti nel corso di un anno. Gli Stati Uniti si trovano al secondo posto con 109 kg e sono seguiti purtroppo dall’Italia con 108 kg. Il nostro Paese si colloca dunque al terzo posto tra i Paesi con il maggior tasso di cibo sprecato quotidianamente ed annualmente nel coro delle operazioni effettuate in cucina e a causa di una cattiva conservazione del cibo o di una certa leggerezza nel produrre avanzi, che vengono inesorabilmente dimenticati nel frigorifero e gettati tra i rifiuti. A fianco agli sprechi domestici vi sono gli sprechi a livello della filiera produttiva, che si concentrano nell’industria di produzione alimentare e nella catena di vendita e di distribuzione del cibo. Basta inoltre pensare alle enormi quantità di alimenti invenduti all’interno di negozi e supermercati, per via della scadenza o di cattive condizioni di conservazione, per comprendere come si sia in presenza di un sistema fallace, che andrebbe rivisto e modificato al più presto.

La Banca dati internazionale dello spreco di Andrea Segre’

Relativamente alla possibilità di risolvere il problema degli sprechi alimentari, una soluzione interessante viene fornita dal presidente di Last Minute Market, Andrea Segrè. Al riguardo egli sottolinea come non vi sia a livello mondiale un’idea comune per agire in maniera sinergica arginando gli sprechi alimentari. Ciò potrebbe essere a suo parere ovviato mediante la realizzazione di una Banca dati internazionale dello spreco. Sarebbe inoltre necessario misurare realmente l’impatto ambientale, sociale ed economico, oltre che nutrizionale, del fenomeno.

“Basti pensare che delle circa 4600 calorie pro-capite lungo la filiera se ne perdono molte e si consumano solo 2000 calorie. Se evitassimo lo spreco, si potrebbe nutrire un’altra persona. Serve dunque più istruzione e informazione, per creare un sistema dove tutti vincono”, è quanto ha desiderato sottolineare Segrè in occasione dell’incontro “Spreco alimentare: come ridurlo dal campo alla tavola” promosso a Milano dal Barilla Center for Food and Nutrition (Bcfn). Segrè ha inoltre aggiunto come sia necessario armonizzare le etichette alimentari a livello internazionale, per appianare le differenze tra esse da un Paese all’altro. Gli italiani dovrebbero inoltre imparare a riconsiderare le diciture riportate accanto alle date di scadenza. “Consumare preferibilmente entro” significa infatti che un prodotto potrà essere utilizzato anche nei giorni successivi alla scadenza e non immediatamente gettato, come molti tendono a fare. Una regolamentazione più precisa delle etichette e delle date di scadenza dei prodotti rappresenterebbe dunque un primo passo importante verso una maggiore consapevolezza alimentare e verso una riduzione concreta degli sprechi.

Marta Albè

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