Batterio Killer: ecco cosa rende l’Escherichia Coli così terribile

Scoperta dai ricercatori dell'Università di Münster da dove deriva la pericolosità dell'E.Coli. Si tratta di una forma che racchiude in se il potere di due differenti batteri, legandosi alle paretu intestinali e rilasciando la tossina Shiga

Una minaccia dal duplice volto quella dell’ Eschericia Coli, che ha già ucciso in Germania 40 persone. È stato scoperto da alcuni studiosi dell’Università di Münster ciò che rende il batterio così temibile. La sua pericolosità infatti dipende dall’unione di due agenti patogeni.

Il ceppo O104:H4 del microrganismo infatti non sarebbe altro che un ‘clone’, che è riuscito a coniugare insieme il potere nefasto di due patogeni virulenti: il primo in grado di produrre la tossina Shiga come fanno gli E.Coli enteroemorragici (EHEC) e il secondo che aderisce alla parete intestinale, caratteristica tipica dell’E.Coli enteroaggregante (EAEC).

In più, se aggiungiamo anche la resistenza formatasi nei confronti di alcuni antibiotici il gioco è fatto. Il risultato è stato quello che purtroppo conosciamo. Un’epidemia che ancora fa paura e per la quale non è stata ancora trovata un’adeguata risposta.

Ma una cosa è ormai stata accertata: il ceppo O104:H4 è un mix terribile, in grado sia di concentrarsi nella parete intestinale sia di dare vita alla tossina Shiga, da cui deriva la sindrome emolitico-uremica. Proprio legandosi alle pareti del nostro intestino, infatti, il batterio riesce a diffondere più agevolmente la tossina.

Per giungere a tale conclusione, gli studiosi hanno ricostruito in laboratori i profili di O104:H4 analizzando 80 campioni di batteri di pazienti ricoverati tra il 23 maggio e il 2 giugno. Ne è emerso che “l’aderenza rafforzata di questo ceppo alle pareti intestinali potrebbe facilitare l’assorbimento da parte dell’intestino della tossina Shiga e quindi spiegare l’insolita alta frequenza con cui l’infezione ha avuto una progressione verso la sindrome emolitico-uremica”.

Gli esiti della ricerca sono stati resi noti attraverso la rivista The Lancet.

Francesca Mancuso

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