Pomodori “marci”: questo è quello che non vogliono farti sapere su passate e ketchup del supermercato

Costretti ad abitare in baraccopoli-ghetto, senza acqua e corrente elettrica, ritmi di lavoro disumani – anche 14 o 16 ore di lavoro al giorno, sotto il sole cocente dell’estate. Dietro ketchup e passate ci sono spesso storie di caporalato e sfruttamento dei lavoratori

I pomodori sono la materia prima di molti prodotti presenti sugli scaffali dei supermercati, utilizzati tutti i giorni. Dalle passate al concentrato di pomodoro, dalle lattine di pelati al ketchup: questi prodotti si rivelano utilissimi per preparare primi piatti o per arricchire secondi a base di carne o pesce.

Ma da dove arrivano i pomodori utilizzati per produrre questi prodotti? Come vengono coltivati e raccolti? Ma, soprattutto, chi c’è dietro la loro produzione? A tutte queste domande, il consumatore spesso non trova risposta: mancano i controlli delle autorità ma, soprattutto, manca l’informazione su questo argomento.

Per colmare questo vuoto di notizie, diverse associazioni (tra cui anche quelle dei consumatori) hanno condotto negli anni indagini indipendenti, occupandosi non solo della qualità dei prodotti che finiscono sulle nostre tavole, ma anche delle condizioni dei lavoratori che sono dietro questi prodotti.

Leggi anche: Sai da dove vengono i pomodori della passata? La nostra indagine al supermercato sulle marche più note

L’indagine tedesca

L’ultima inchiesta sul ketchup, condotta dalla rivista tedesca  Öko Test, squarcia ancora una volta il velo sulle condizioni terribili dei lavoratori dietro i pomodori che finiscono in questo prodotto tanto amato e diffuso.

Gli autori dell’indagine hanno testato venti prodotti in vendita nei supermercati per verificarne salubrità, eccesso di zucchero, presenza di muffe e micotossine.

Ma non solo: l’indagine si è concentrata anche sulla ricerca dell’origine dei pomodori, con l’obiettivo di far luce sull’intera filiera del prodotto.

A questo scopo, tutte le diverse parti della filiera produttiva – agricoltori, produttori di concentrato di pomodoro, venditori finali – sono state invitate a compilare dettagliati questionari.

Ovviamente non ci si è fidati solo di queste dichiarazioni: gli autori dell’indagine hanno preteso di consultare anche la documentazione che certificasse gli standard di lavoro e ambientali.

Ma, come abbiamo detto, i pomodori non finiscono solo nelle confezioni di ketchup. Questo vuol dire che il problema dello sfruttamento dei lavoratori agricoli riguarda anche le bottiglie di passata e le lattine di pelati che ogni giorno utilizziamo per preparare il sugo in casa.

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E nel nostro Paese?

Il delicato tema del caporalato riguarda anche l’Italia: a dimostrarlo, tra i tanti, è il rapporto “Le condizioni abitative dei migranti che lavorano nel settore agroalimentare”, pubblicato qualche mese fa dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

L’indagine, condotta fra ottobre 2021 e gennaio 2022, si è concentrata sui braccianti stranieri che lavorano in Italia (sia come stagionali che come stanziali) e ha fatto emergere un quadro drammatico.

Costretti ad abitare in baraccopoli-ghetto, spesso senza acqua e corrente elettrica, i braccianti che si occupano della raccolta dei pomodori hanno ritmi di lavoro disumani – anche 14 o 16 ore di lavoro al giorno, sotto il sole cocente dell’estate.

Le aree in cui vivono sono solitamente lontane dai centri abitati e privi di collegamenti con mezzi di trasporto pubblico. Questo vuol dire che ogni giorno, per andare a lavorare, i braccianti devono percorrere decine di chilometri a piedi o in bicicletta.

Cosa può fare il consumatore

Come ribadiamo spesso nei nostri articoli, noi consumatori abbiamo un enorme potere nelle nostre mani. Purtroppo, spesso non basta leggere solo l’etichetta per essere certi di stare acquistando un prodotto sostenibile dal punto di vista ambientale e umano.

Anche la produzione “nostrana” delle materie prime non esclude il ricorso a pratiche barbare di sfruttamento dei lavoratori, come quella del caporalato.

Cosa fare allora? Acquistare prodotti di stagione da piccoli produttori agricoli (che magari conosciamo personalmente), scegliere cibi a filiera corta e controllata, fidarsi di piccole aziende che supportano i diritti dei lavoratori sono tutti modi per non contribuire allo sfruttamento dei braccianti. Infine, cercare i progetti che abbiano scelto una filiera del pomodoro etica, trasparente e “caporalato free”,

La nostra passata e il nostro ketchup avranno davvero un sapore più dolce – e non per un eccesso di zucchero!

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