Imballaggi, le multinazionali fanno solo greenwashing. Lo studio che smaschera l’ipocrisia di Coca Cola e Unilever

Un nuovo rapporto smaschera la “litania di affermazioni ingannevoli” di nomi familiari, tra cui Coca-Cola e Unilever: le affermazioni sul fatto che gli imballaggi in plastica siano ecologici sono solo un fuorviante greenwashing. Non ci sono prove a sostegno delle affermazioni a sostegno dell'ambiente

“Plastica raccolta dall’oceano” o “riciclabile”. Così da alcuni anni grandi marchi come Coca Cola e Unilever, ma anche alcuni marchi di abbigliamento, pubblicizzano il loro packaging, facendolo passare per sostenibile. Il fatto, però, è che è solo greenwashing. Tanto per cambiare.

A smascherare le multinazionali è un nuovo rapporto della Changing Markets Foundation, secondo cui le dichiarazioni presentate da grandi marchi in realtà sono affermazioni campate in arie e senza alcuna prova concreta. E per l’occasione la fondazione lancia una nuova piattaforma per sensibilizzare i consumatori sull’uso da parte dei grandi marchi dell’uso “ingannevole” di termini sostenibili ed ecologici con uno “scarso supporto probatorio”.

La piattaforma mette in discussione le “credenziali” ambientali di aziende come Coca-Cola, Unilever, IKEA, TESCO e LIDL. I giganti del consumo, afferma CMF, non riescono a fornire rappresentazioni accurate dell’impatto ambientale dei loro processi, mentre utilizzano frasi come “plastica oceanica” e “plastica riciclabile”. In particolare, l’ente evidenzia “plastica oceanica e da spiaggia” come termini usati frequentemente nelle campagne che oscurano l’impatto ambientale del marchio.

Un esempio è la descrizione di Procter and Gamble delle sue bottiglie di shampoo Head and Shoulders come fatte di “plastica da spiaggia”, nonostante la bottiglia sia tinta di blu, impedendo così che venga ulteriormente riciclata.

La nostra ultima indagine rivela una litania di affermazioni fuorvianti di nomi familiari di cui i consumatori dovrebbero potersi fidare. Questa è solo la punta dell’iceberg ed è di fondamentale importanza che le autorità di regolamentazione affrontino seriamente questo problema, dice George Harding-Rolls, responsabile della campagna presso Changing Markets Foundations.

Secondo l’analisi, le affermazioni della linea di abbigliamento Skims di Kim Kardashian sulla sua confezione di biancheria intima compostabile, che afferma “Non sono di plastica”, sono assolutamente false perché in realtà il prodotto è di plastica di tipo 4 o LDPE (Polietilene a bassa densità). Così Coca-Cola, afferma il rapporto, ha speso milioni per promuovere un’innovazione secondo cui le sue bottiglie sarebbero costituite per il 25% da plastica marina, ma non menziona che l’azienda rimane di fatto il più grande inquinatore di plastica al mondo.

E ancora, anche i produttori di caramelle, confetti o gomme da masticare – come Mentos e Perfetti Van Melle – fanno grandi affermazioni “ecologiche” sui nuovi imballaggi in scatole di cartone, afferma il rapporto, ma non dicono che l’imballaggio è un materiale composito non riciclabile fatto di cartone, alluminio e plastica. E vogliamo parlare di Unilver? La multinazionale avrebbe sostituito le bottiglie in PET riciclabili di detersivo con confezioni non riciclabili e contenenti solamente due ricariche.

Gli esempi mostrano che i marchi presentano materiali e vendono prodotti affermando che sono migliori per l’ambiente quando sono difficili da riciclare, non sono affatto riciclabili o utilizzano solo una piccola frazione di plastica “legata all’oceano” raccolta attraverso varie operazioni di pulizia.

Plastica è ora una parola molto potente ed emozionante. Tutti sentiamo il senso di colpa della plastica quando riempiamo i nostri cestini della spesa. I marchi hanno sfruttato questo negli ultimi anni, utilizzando tecniche di marketing che sono totalmente fuorvianti o addirittura false, fingendo che il problema venga risolto quando in realtà sta peggiorando, con la produzione di plastica destinata a triplicare entro il 2040, conclude Sian Sutherland, co-fondatore di A Plastic Planet.

Se non è greenwashing questo…

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Fonte: Changing Markets Foundation

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