Pesticidi nelle banane: vi spieghiamo perché anche quelle biologiche sono risultate contaminate

Abbiamo sempre creduto che i pesticidi nelle banane non ci potessero arrivare grazie alla buccia, men che meno in quelle biologiche. Ma da Altromercato ci chiariscono qualche dettaglio

Pesticidi nelle banane, capitolo secondo. Dai risultati dei test effettuati da Il Salvagente e da noi ripubblicati qui emerge un dato preoccupante: neanche le banane bio si salverebbero dalla contaminazione da sostanze chimiche.

Un esito che lascia basiti: abbiamo sempre creduto che i pesticidi nelle banane non ci potessero arrivare grazie alla buccia, particolarmente doppia e dura, men che meno in quelle biologiche. Com’è possibile?

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Ci ha raggiunti, per chiarirci qualche dettaglio, Alessandro Franceschini, Presidente di Altromercato:

Ctm Agrofair, la società partecipata da Altromercato impresa sociale e specializzata nella distribuzione di ortofrutta equa e solidale, importa e distribuisce banane biologiche prodotte ed esportate da associazioni di piccoli produttori del Perù.

In pratica, spiega Franceschini, ogni lotto – ovvero la merce ricevuta in una determinata settimana da ciascuna associazione di produttori partner di banane biologiche – viene analizzato nei laboratori accreditati e poi – una volta acquisito un risultato conforme in base al Regolamento Biologico – distribuito alle piattaforme Esselunga. Ciò consente, tramite il numero di lotto e la data di confezionamento indicati nell’etichetta delle banane, di tracciare il prodotto dall’origine fino al consumatore finale.

Sulla base dell’articolo siamo risaliti alla settimana di importazione, ai produttori, al container e alla conformità rilasciata dal laboratorio accreditato AGRIPARADIGMA, confermando la validità e il buon funzionamento del nostro processo di verifica, afferma Franceschini.

E continua:

Sui quattro principi attivi individuati da il Salvagente, due infatti sono ammessi nella coltivazione biologica, per gli altri due principi le quantità rilevate sono estremamente basse da essere quantificabili come tracce e sarà nostra cura bloccare la merce proveniente dai codici sospetti e fare ulteriori controanalisi. Tracce così esigue di questi principi attivi ci fanno sospettare una contaminazione incrociata involontaria da parte di coltivazioni adiacenti a quelle di uno o più dei piccoli produttori coinvolti nell’analisi. Ben vengano azioni di monitoraggio di questo tipo che vanno nella stessa nostra direzione: un commercio più rispettoso per l’uomo e per l’ambiente, senza alternative né scorciatoie.

Quello delle contaminazioni accidentali, in effetti, ossia delle contaminazioni non dovute al processo produttivo, sono un tema attuale e ricorrente. Cosa dobbiamo fare noi? Poco o nulla, soprattutto se contemporaneamente i controlli accertano che il prodotto è stato effettivamente ottenuto applicando le norme sul biologico ma comunque presenta dei residui dovuti ad altre cause.

Di parere deciso è Paolo Carnemolla, Coordinatore dell’Unità di Crisi di FederBio:

Contaminazioni di questo tipo sono inaccettabili e del tutto incompatibili con il metodo di coltivazione biologico e la relativa certificazione. Anche se si trattasse di contaminazioni accidentali, che non sono certamente tecnicamente inevitabili, i fornitori in questione devono essere esclusi dalle filiere di prodotto a marchio finché la questione non verrà chiarita e risolta, come ha già fatto Esselunga.

Soluzione? Magari evitare di acquistare prodotti che arrivano da altri Paesi che non sottostanno alle norme vigenti in Europa. Qui, per esempio, la strategia Farm to Fork, al centro del Green Deal europeo, ha l’obiettivo di rendere i sistemi alimentari più equi, sani e rispettosi dell’ambiente. Nei mesi scorsi il Parlamento europeo ha approvato il testo con cui si lavorerà anche su importanti obiettivi, proprio come la riduzione dei pesticidi e del consumo di carne, l’aumento dei terreni agricoli bio e una maggiore cautela rispetto ai nuovi OGM.

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Fonte: Altromercato

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