L’eccellenza della pelle italiana

Riceviamo e pubblichiamo da Concerie Italiane, in risposta a quanto pubblicato in data 3/10/2019: "Il primo tessuto vegetale...

Riceviamo e pubblichiamo da Concerie Italiane – Unione Nazionale Industria Conciaria (U.N.I.C), in risposta a quanto pubblicato in data 3/10/2019: “Il primo tessuto vegetale simile alla pelle realizzato con le pale di fico d’india da questi due giovani messicani“.

Circolare per definizione e per missione, l’industria conciaria italiana è un modello globale e a 360°di sostenibilità. E qui vi spieghiamo perché.

La pelle è un materiale intrinsecamente sostenibile.

Lo è fin dagli albori del genere umano. Quando quel nostro lontanissimo antenato decise di non abbandonare come un rifiuto inutile la pelle dell’animale del quale si era cibato, trasformandola in un rudimentale abito, ecco che innescò un’attività di recupero: positiva e circolare. Oggi, migliaia e migliaia di anni dopo, tutto ciò (purtroppo) non è più così ovvio.

Un rifiuto dell’industria alimentare

La pelle è un rifiuto recuperato dell’industria alimentare. È questo è un assunto incontrovertibile, che va spiegato e raccontato nei minimi dettagli. Soprattutto, è necessario comunicare e spiegare fino a che livello la pelle italiana abbia spinto la propria impronta green e circolare, affrontando già decenni fa alcune svolte epocali in termini di sostenibilità. E gestendo, oggi, un quotidiano processo di miglioramento continuo finalizzati all’ottimizzazione di qualsiasi tipo di consumo ed emissione. Ne deriva che la conceria italiana si configura come un processo intrinsecamente win-win perché la produzione avviene riducendo i rifiuti conferiti in discarica, utilizzando meno combustibile e quindi generando meno emissioni.

Sottoprodotto di Origine Animale

La concia delle pelli sottrae una quantità enorme di rifiuti alla necessità della dismissione, riducendone l’impatto sull’ambiente ed evitando il relativo costo economico.

Oltre il 99% delle pelli grezze processate dall’industria sono infatti di origine bovina ed ovicaprina. Sono uno scarto dell’industria della carne. In termini tecnici, si tratta di un SOA (Sottoprodotto di Origine Animale), il cui recupero ed utilizzo viene dettagliatamente normato a livello, europeo, nazionale e spesso anche locale. Ogni anno, nel mondo, le concerie recuperano complessivamente circa 1.700 chilometri quadrati di pelle grezza prodotta in conseguenza delle necessità alimentari dell’uomo. La quota della conceria italiana è pari all’8%, cioè: circa 125 chilometri quadrati. Con una popolazione mondiale che non può realisticamente abbandonare le proteine alimentari e il consumo di carne, come smaltire questa sconfinata prateria di “avanzi” senza l’efficace e virtuosa azione delle concerie?

Eccellenza che dura nel tempo

La pelle è uno scarto diventa prodotto di straordinaria eccellenza. E garantisce a clienti manifatturieri e consumatori, caratteristiche tecniche e prestazioni di altissimo livello che si mantengono nel tempo, sia in un’ottica di fruibilità che di creazione del valore. Una scarpa, una borsa, un giubbotto, un divano o un sedile in pelle hanno una durata in termini di performance ed estetica decisamente maggiore rispetto al medesimo prodotto confezionato con un materiale cosiddetto “alternativo”. Incarnano spesso il “vissuto” del consumatore, lo esaltano e lo rendono unico ed iconico, anche a distanza di molti anni dalla creazione originale.

Etica e sostenibilità a 360°

Portatrice di un approccio industriale moderno, sistemico e d’avanguardia, l’industria conciaria in Italia, si è dotata dal 2003 di una fondamentale bussola di navigazione. Nonché di un importante strumento di trasparenza, monitoraggio e valutazione del proprio impegno di settore. È il Rapporto di Sostenibilità elaborato da UNIC – Concerie Italiane (l’associazione che rappresenta le concerie italiane), che dimostra come un settore composto da oltre 1.200 piccole e medie imprese da decenni viva e alimenti la sostenibilità di prodotto e processo attraverso lo sviluppo ed il miglioramento continuo delle proprie prestazioni ambientali, sociali, etiche ed economiche. Con risultati da far ricredere quelli che reputano la pelle un materiale vecchio e la conceria un’attività medievale o, nel migliore dei casi, folkoristica.

Concretezza green

Rispetto a dieci anni fa, il consumo di risorse da parte delle concerie italiane è infatti diminuito del 16% in termini di acqua, del 17% in quantità di prodotti chimici utilizzati e dell’8% in energia (-28% rispetto a 15 anni fa). Nello stesso tempo, si è ottenuto un calo del 38% di emissioni in atmosfera e del 26% in volume di rifiuti prodotti.

Altro elemento di primario interesse è il livello di depurazione idrica, che ha raggiunto il 97,4% per i COD ed il 99,5% per il Cromo III.

La pelle conciata in Italia garantisce al consumatore finale i più elevati standard di sicurezza, richiesti da una legislazione europea e nazionale applicata e controllata in modo diffuso e rigoroso. L’utilizzo di ausiliari chimici in conformità ai regolamenti REACh e POP, obbligatori sul territorio europeo, garantirebbe già di per sé l’adeguatezza ai requisiti imposti dai principali mercati di esportazione. Ma la conceria italiana va oltre e attua una serie di controlli sul proprio prodotto finito per garantire in modo ulteriore la correttezza della gestione chimica durante il processo.

La collaborazione con i clienti delle case di moda, spesso focalizzati su obiettivi più restrittivi rispetto alle limitazioni di legge, ha contribuito a sviluppare ulteriormente gli investimenti, anche tecnologici, per un minore e migliore utilizzo dei prodotti chimici e ha anche stimolato ad allungare l’attenzione della filiera su tematiche di carattere più propriamente etico: il benessere animale e la tracciabilità delle materie prime.

Sicurezza e certificazioni

Nelle concerie italiane i processi di lavoro sono condotti nel rispetto degli standard di sicurezza applicabili. Gli ultimi dati INAIL disponibili (relativi all’anno completo 2017) evidenziano una frequenza relativa di infortuni pari a 26,1 su 1000 occupati, 43% in meno rispetto a 15 anni fa. Nettamente diminuito (-56%) anche il numero complessivo di infortuni

In quest’ottica, risulta essenziale anche il lavoro svolto da ICEC (Istituto di Certificazione della Qualità Conciaria), che negli ultimi 25 anni ha sviluppato con successo decine di standard e certificazioni specificatamente dedicati ai più importanti aspetti di garanzia richiesti alle concerie in campo ambientale, sociale, etico ed economico. Ad oggi, ben oltre il 50% del fatturato complessivo dell’industria conciaria italiana è prodotto da aziende che hanno almeno una certificazione ICEC.

La massima circolarità possibile

Nel corso dell’ultima edizione (la numero 97) di Lineapelle, la più importante manifestazione fieristica internazionale di materiali per moda e design (Fieramilano Rho, dal 2 al 4 ottobre: oltre 1.250 espositori e 20.000 visitatori da tutto il mondo), UNIC -Concerie Italiane ha organizzato The Leather (re)cycling Exhibition, hub riservato ai principali aspetti di circolarità del processo produttivo della pelle.

Fertilizzanti e biostimolanti per agricoltura; gelatina e collagene per l’industria alimentare; granulati inerti e conglomerati bituminosi per l’edilizia. Tutto questo ricavato da rifiuti e scarti delle moderne lavorazioni in conceria (fanghi di depurazione, rasature, rifili, croste e molto altro) che rientrano, come materie prime secondarie, nelle produzioni di altri settori industriali. Tutto questo contribuisce a definire la pelle come un autentico e naturale esempio di economia circolare. E elegge il settore conciario italiano a modello industriale di riferimento globale per le supply chain internazionali di calzatura, pelletteria, abbigliamento, arredamento e automotive.

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