Bambini vittime delle mafie: non basta ricordare, dobbiamo farli rivivere in noi

"Lavoro, scuola e servizi sociali restano il primo antidoto contro la peste mafiosa. Siamo qui perché amiamo la vita e abbiamo un debito con chi è stato assassinato". Così Don Luigi Ciotti, presidente di Libera dal palco di Locri dove è in corso la la XXII Giornata della memoria e del ricordo.

“Lavoro, scuola e servizi sociali restano il primo antidoto contro la peste mafiosa. Siamo qui perché amiamo la vita e abbiamo un debito con chi è stato assassinato”. Così Don Luigi Ciotti, presidente di Libera dal palco di Locri dove è in corso la la XXII Giornata della memoria e del ricordo.

“Non basta più ricordare le vittime ma farle rivivere in noi. Loro ci hanno lasciato un’eredità e i nostri giovani hanno bisogno di risposte nel presente. O si costruiscono spazi, opportunità e luoghi di educazione o si finisce per piegarsi sotto le mafie”, continua Don Ciotti davanti a 25mila persone.

“Le vittime non uccidono solo con la violenza, ma vittime sono anche i morti vivi quelli cui la mafia toglie la speranza e la dignità. Penso all’usura che distrugge la vita e crea ansia, paura, cappa. Ma ci sono anche i morti vivi per mancanza di coraggio che si rassegnano all’agonia”.

“Oggi tutti ci sentiamo calabresi e ci sentiamo sbirri. Siamo qui per sostenere quella Calabria che non vuole essere identificata con la ‘ndrangheta, con la massoneria. C’è una Calabria che vuole il riscatto e il benessere. È la Calabria che io amo“, continua Don Ciotti.

Un lungo discorso senza mai dimenticare che “cittadinanza significa corresponsabilità per il bene comune”, ma anche che “la legalità è un ponte non un insieme di principi astratti”.

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Don Ciotti dal palco della locride non dimentica poi l’attenzione per l’ambiente, ricordando l’Enciclica di Papa Francesco e lanciando il monito di “ricominciare anche dalla cura dell’ambiente”.

“Sta a noi il compito di realizzare una società più giusta e umana, non devono esistere deleghe perché ognuno di noi deve avere la responsabilità del proprio agire”.

Coraggio e umiltà non richiedono eroismo. Insieme per essere un seme di speranza, diffidate dai solitari, da chi sa tutto e da chi ha capito tutto. Salutatemelo e cambiate strada. Auguro a me e a voi coraggio e umiltà. Le mafie sono forti perché la società è disuguale e depressa, in una società responsabile le mafie e la corruzione non troverebbero posto. Non voltate lo sguardo”. chiosa Don Ciotti.

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La marcia di Locri

In testa ci sono i familiari delle vittime innocenti delle mafie che reggono lo striscione con lo slogan di quest’anno: “Luoghi di speranza, testimoni di bellezza”. A Locri, in provincia di Reggio Calabria, Libera celebra la XXII Giornata della memoria e del ricordo.

25 mila (secondo gli organizzatori) da tutta l’Italia, anche se in ogni città sono in corso manifestazioni per ricordare le vittime di mafia. Oltre 4mila iniziative da Nord a Sud per non dimenticare chi ha perito per mano della criminalità organizzata.

“Tutta l’Italia vi deve solidarietà per il vostro dolore, rispetto per la vostra dignità, riconoscenza per la vostra compostezza, sostegno per la vostra richiesta di verità e giustizia. Per questo desidero dirvi che le vostre ferite sono inferte al corpo di tutta la nostra società, di tutta l’Italia”, aveva detto Mattarella nei giorni scorsi rivolgendosi a familiari delle vittime innocenti di mafia.

Striscioni, bandiere della pace che si uniscono a quelle di Libera e delle tantissimi associazioni presenti alla marcia. Ci sono vedove, figli senza padri, madri e fratelli, ci sono le Istituzioni, gli scout, i migranti, i privati cittadini. Il primo giorno di primavera che coincide con il risveglio delle coscienze, della verità e della giustizia sociale.

“Per questo motivo è un dovere civile ricordarli tutti. Per ricordarci sempre che a quei nomi e alle loro famiglie dobbiamo la dignità dell’Italia intera”, dice Libera.

TUTTI I NOMI DELLE VITTIME DELLE MAFIE

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Foto: greenMe

“Siamo in tanti e siamo più forti di quelli che imbrattano i muri e ci minacciano. Noi portiamo tutte le vittime dentro al nostro cuore, ma è necessario che la politica sia consapevole e responsabile” ha detto dal palco Roberto Montà, presidente di Avviso Pubblico.

I bambini si toccano

“I mafiosi non conoscono pietà né umanità. I sicari colpiscono con viltà persone inermi e disarmate. Ci sono donne e bambini. Sì, tante donne e tanti bambini”. Le parole del Capo dello Stato, Sergio Mattarella hanno fatto eco a una situazione straziante.

In visita a Locri, il 19 marzo per la XXII Giornata della Memoria e dell’impegno, organizzata da Libera e Avviso pubblico, una giornata propedeutica a quella di oggi, Mattarella ha ricordato le 950 vittime della mafia.

Tra i nomi c’è anche quello del fratello del presidente, Piersanti ucciso a Palermo 6 gennaio 1980 e ci sono quelli di tanti bambini, vittime innocenti della criminalità organizzata, che non si è fermata neanche davanti al codice d’onore della ‘ndrangheta: ‘I bambini non si toccano’.

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Si toccano eccome. Strappati dalla loro infanzia, mentre erano in macchina con il nonno, mentre giocavano in un campetto da calcio, mentre erano con la mamma o ancora a mangiare una pizza. Dal 1951, con la prima vittima di 3 anni (Domenica Zucco), la criminalità organizzata non si è fermata davanti a niente e nessuno.

Non ci sono mai stati rimorsi, sensi di colpa nell’uccidere, torturare, rapire, bruciare vivi, seppellire bambini e bambine. I loro nomi fanno parte di una strage dimenticata, negata dalla giustizia. Le storie vivono nel ricordo dei genitori che da anni, chiedono che si faccia luce su reati crudeli e senza colpevoli.

Un lungo elenco che sarebbe impossibile da riassumere, ma ogni vittima ha la stessa dignità dell’altra. Ci sono poi i bambini uccisi dalla ‘ndrangheta, sono quelli entrati nel cuore dell’antimafia.

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Ricordiamo il piccolo Dodò Gabriele ucciso a 11 anni nel 2009 mentre giocava nel campetto da calcio a Crotone. La sera del 25 giugno, un sicario sparava all’impazzata per colpire Gabriele Marrazzo e sparava su quell’erba in cui correva anche Dodò.

Atroce fine quella di Cocò Campolongo, tre anni. Era lo scudo umano del nonno Giuseppe Iannicelli che lo portava con sé, quando andava a rifornire di droga i pusher della zona della Sibaritide, in provincia di Cosenza, fra Cassano allo Ionio, Lauropoli e Firmo.

Il 16 gennaio del 2014 Cocò viene arso vivo, è la vittima innocente dei traffici illeciti del nonno Giuseppe. Una fine tragica per Cocò che aveva conosciuto il carcere e l’aula bunker per colpa della madre Antonia Maria, imputata come appartenente a una presunta organizzazione dedicata al traffico di stupefacenti.

Ci sono poi Domenico e Michele Facchineri, 12 e 9 anni, uccisi a colpi di lupara da cinque sicari senza volto che pochi minuti prima, erano stati artefici della strage di via Palermo.

I due fratellini sono di Cittanova, in provincia di Reggio Calabria e hanno un cognome pesante. Vengono trucidati per quello, faide interne di famiglie mafiose. Come loro anche Michele Arcangelo Tripodi, sequestrato mentre passeggia in bici per il paese, ammazzato e seppellito. I killer ce l’avevano con il padre e decidono di vendicarsi così.

Nicholas Green era un bambino statunitense di sette anni a cui è stata strappata la vita sulla Salerno-Reggio Calabria, l’auto sulla quale viaggiava con la famiglia era stata scambiata con quella di un gioielliere. Una rapina sfociata in omicidio. La storia di Nicholas ha fatto il giro del mondo, dopo la donazione dei suoi organi.

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E come non citare poi, Arturo Caputo ucciso a 16 anni per sbaglio mentre mangiava una pizza con gli amici e ancora Cosimo Gioffrè che dormiva accanto alla mamma, Gianluca Canonico, 10 anni nel cortile di casa, ancora Giuseppe Bruno, Giuseppina Pangallo, Graziella e Maria Maesano, Rocco Corica, sono morti tutti più o meno allo stesso modo. E come loro, tanti e tanti altri.

Dominella Trunfio

Foto: Dario Grilletto per greenMe.it

Foto cover: Libera

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