Le donne che suonavano ad Auschwitz, “salvate” dalle camere a gas grazie alla musica

La commovente e terribile storia dell’Orchestra femminile di Auschwitz: suonavano per sopravvivere mentre accompagnavano alle camere a gas, con allegri e flagellanti melodie, detenuti e detenute

C’era la musica nei campi di concentramento nazisti: quella creata clandestinamente dai detenuti e dalle detenute per sé stessi, per provare a dimenticare almeno per il tempo di qualche melodia l’orrore, per resistere; e quella eseguita per gli ufficiali, suonata per un pubblico di assassini, e per “sollevare” le dure giornate delle persone imprigionate, ma che in realtà rimbombava nel campo come la colonna sonora della loro condanna a morte.

Siamo ad Auschwitz nel 1943, e nel campo di concentramento l’aspettativa di vita è inferiore ai quattro mesi. Per alcune donne però la musica sarà un’alleata per la sopravvivenza, permettendogli non solo di superare la soglia dei quattro mesi, ma persino di sfuggire alla morte. La Mädchenorchester von Auschwitz, in italiano l’orchestra femminile di Auschwitz, è stata l’unica composta solo da donne tra tutti i campi di concentramento della Germania e dei territori occupati.

L’orchestra femminile di Auschwitz

Quando la SS Maria Mandel – nota come “la Bestia di Auschwitz” per il suo spietato sadismo – volle creare un’orchestra per accompagnare le marce militari e “dilettare” gli arrivi dei nuovi prigionieri, Zofía Czajkowska, un’insegnante di musica polacca, si propose di organizzare un’orchestra femminile nel campo Auschwitz-Birkenau.

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Sebbene non l’avesse mai fatto, Zofía non solo riuscì ad organizzarla, ma la diresse anche. Quando cominciò era già molto debole. Era arrivata ad Auschwitz un anno prima e il lavoro brutale e disumano l’aveva estenuata. Lei, insieme alle altre musiciste che cercò nel campo, ricevettero almeno un trattamento meno disumano delle altre prigioniere. Piccoli privilegi per così dire. Mangiavano e vestivano meglio e svolgevano compiti meno faticosi.

Fu così che nacque l’improvvisata orchestra femminile. Furono trasferite in una piccola e vecchia baracca situata vicino al punto dove arrivavano i convogli dei deportati. Da lì, le nuove arrivate che sapevano suonare, nonostante l’incertezza dal loro destino, avrebbero avuto un vantaggio per la sopravvivenza. Infatti coloro che dimostravano di saper suonare uno strumento erano portate da Czajkowska, che assegnava loro un posto all’interno dell’orchestra, consegnava gli spartiti e le guidava nelle interminabili prove.

Musica per sopravvivere

L’inizio ufficiale dell’orchestra fu nel giugno del 1943. Partì con 20 musiciste, poche risorse, strumenti confiscati ai prigionieri, altri provenienti dall’orchestra maschile di Auschwitz e tanta paura e pressione. La Czajkowska, in più occasioni, accettò nella sua orchestra donne che non avevano nessuna idea di come suonare uno strumento, insegnandole come usarlo con la speranza di migliorare le loro condizioni di vita e forse salvarle dalla morte.

Czajkowska venne a incontrarmi nella mia baracca per chiedermi se suonavo qualche strumento e le dissi che potevo suonare il piano. Mi disse che non avevano un pianoforte, ma se avessi potuto suonare la fisarmonica avrebbe potuto farmi un provino per vedere se potevo entrare nell’orchestra. Sono andata all’audizione, mi diede la fisarmonica. Era la prima volta nella mia vita che ne prendevo una. A quel punto dovevo capire come usarla, quindi provai a suonare quello che sentivo e ci riuscii. Poi mi disse che ero stata presa”, raccontò Ester Bejarano, superstite dell’Olocausto grazie alla musica, morta nel 2021.

Con il freddo, con il caldo, sotto la pioggia, l’orchestra femminile di Auschwitz aveva il compito di suonare, nonostante le umiliazioni e i dolori, tutto quello che le veniva richiesto. Lo facevano per i criminali della SS, per dare il “benvenuto” dal cancello del campo ai nuovi carichi di prigionieri oppure – con l’impotenza di non poter fare niente per cambiare il loro destino – per “accompagnare” donne, uomini, bambini e bambine verso la camera a gas con tormentosi ritmi allegri che flagellavano i loro corpi e le loro anime.

L’arrivo di Alma Rosé

violinista ebrea Alma Rose

Alma Rosé (1906–1944) 1927 ©Georg Fayer

A luglio dello stesso anno arrivò Alma Rosé, una straordinaria violinista ebrea già allora molto apprezzata in tutta Europa, figlia di Arnold Rosé, primo violino dell’Opera di Vienna e nipote di Gustav Mahler. Il suo arrivo modificò l’organizzazione. Maria Mandel non poteva sprecare tanto talento, così sostituì Zofia con Alma al posto di direttrice. La Czajkowska rimase lo stesso nell’orchestra per aiutare Rosé specialmente nel comunicare con le altre prigioniere dal momento che non parlava la lingua.

Rosé si aggrappa all’orchestra di Auschwitz con tutte le sue forze, era il suo mezzo per sopravvivere. Ci mette cuore e anima, sapeva che ogni nota musicale suonata permetteva a tutte di restare in vita. Era severa, imponeva dure sessioni di prova, e riuscì a trasformare l’orchestra improvvisata in un eccellente ensemble di livello professionale, che cominciò a suonare non solo negli eventi sopra citati, ma anche nei concerti domenicali, in infermeria, durante le visite d’élite al campo e su richiesta individuale dei soldati.

Se non suoniamo bene, niente impedirà loro di mandarci al crematorio”, diceva.

Come direttrice, Rosé raggiunse la categoria di kapò, che oltre a darle potere sul resto delle detenute, le forniva una stanza privata, cibo e vestiti migliori. Usò però il suo potere anche per impedire che i membri dell’orchestra venissero inviati nelle camere a gas. Inoltre – con la pretesa di rispettare l’orario delle prove – chiese e ottenne che non fossero più costrette a svolgere altri lavori e che ricevessero pasti migliori, docce settimanali e cure mediche. Riuscì ad evitare anche che si suonasse sotto la pioggia o sotto la neve e – per preservare la qualità degli strumenti – ottenne anche che l’orchestra rimanesse in una baracca con pavimento in legno e una stufa.

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Alma non riuscì ad uscire da Auschwitz, nella primavera del 1944 si ammalò improvvisamente e morì in circostanze poco chiare. C’è chi pensa al veleno, c’è chi dice per il tifo.  Si dice che lo stesso dottor Mengele, famoso per gli esperimenti mortali sui gemelli presi nei campi, si prese cura di lei e che la spietata Maria Mandel pianse la sua morte. In un momento storico e senza precedenti, i nazisti celebrarono un tributo funebre alla musicista ebrea.

Nonostante qualcuna l’abbia accusata e condannata per aver assecondato tutte le richieste dei nazisti, in realtà l’orchestra non bramava gli applausi, ma implorava attraverso la musica di sfuggire alla morte. Sotto la protezione di Rosé, nessuna delle componenti dell’orchestra fu uccisa, è in questo modo che la maggior parte delle sopravvissute l’ha ricordata ed è per questo che le sono state grate.

Poco dopo la morte di Rosé, il resto dell’orchestra fu mandato in un altro campo di concentramento, Bergen-Belsen, dove persero tutti i privilegi, subirono abusi, malattie e non fu più permesso loro di suonare. Qui due membri persero la vita.

Delle circa 50 musiciste dell’orchestra, solo due non erano dilettanti: la pianista, compositrice e cantante francese Fania Fénelon e la violoncellista tedesco-polacca Anita Lasker-Wallfisch. Tutte e due sopravvissero all’Olocausto. Fénelon morì a Parigi nel 1983. Lasker-Wallfisch invece è una delle ultime sopravvissute dell’orchestra femminile di Auschwitz ancora in vita, e si impegna per conservarne la memoria.

Queste musiciste suonavano letteralmente per rimanere in vita. Se non sbagliavano un Do maggiore, forse il giorno dopo avrebbero potuto ancora aprire nuovamente gli occhi. Questo loro “privilegio” fu anche una eterna tortura. Dovettero suonare i loro strumenti per gli stessi barbari che probabilmente avevano ammazzato i loro cari e hanno accompagnato con la loro musica, centinaia di migliaia di loro compagne e compagni alla morte.

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Fonte: Memorie di una violoncellista ad Auschwitz / Women Orchestra / Music and the Holocaust / Lest we forget

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