5 anni senza Marielle Franco (e senza giustizia), ma il suo grido di battaglia risuona ancora forte

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Sono trascorsi 5 anni dall'omicidio di Marielle Franco, coraggiosa attivista per i diritti umani e prima consigliera di origine africana di Rio de Janeiro. La sua brutale morte resta ancora in parte avvolta nel mistero, ma non ci stancheremo di chiedere a gran voce verità e giustizia

Era la notte tra il 14 e il 15 marzo del 2018 quando Marielle Franco venne assassinata insieme al suo autista in un agguato, dopo più di un anno dalla sua elezione al Consiglio Comunale di Rio de Janeiro. La coraggiosa attivista, che amava definirsi “femminista, nera e lesbica”, donna aveva solo 38 anni e si batteva per denunciare le discriminazioni, gli abusi della polizia e le esecuzioni extragiudiziali. Determinazione e coraggio che ha pagato con la sua stessa vita, come accade spesso ai difensori dei diritti umani e dell’ambiente del Brasile.

A distanza di 5 anni da quell’efferato assassinio, il grido di battaglia di Marielle Franco risuona ancora, non solo nel suo Paese, ma in tutto il mondo. E lo scorso anno a Caserta è apparso un bellissimo murale dedicato a lei.

A realizzarlo l’artista Monia Piteo per sensibilizzare tutti alla riflessione sul tema della violenza sulle donne e per celebrare l’impegno di Marielle Franco a difesa delle minoranze.

L’attivismo di Marielle a difesa delle minoranze oppresse

Marielle Franco, donna nera nata e cresciuta nella favela di Maré, in qualità di membro della Commissione statale per i diritti umani di Rio de Janeiro, aveva dedicato tempo, competenze ed energie alla difesa dei diritti delle donne nere, dei giovani abitanti delle favelas, della comunità Lgbtq e di altre comunità condannate all’emarginazione sociale e alla discriminazione di genere.

Nel 2016 era anche stata eletta nel consiglio comunale di Rio de Janeiro, come rappresentante del Partito Socialismo e Libertà (PSOL).

Inoltre, era particolarmente attenta a denunciare gli abusi della polizia e le esecuzioni extragiudiziali. Qualche giorno prima dell’attentato, il 10 marzo 2018, Marielle aveva duramente criticato l’intervento militare del 41° Battaglione della Polizia Militare contro gli abitanti di Acarí, favela alla periferia di Rio de Janeiro.

Indagini ancora in corso

Nel 2019 erano stati arrestati i due principali sospettati dell’omicidio: l’agente di polizia in pensione Ronnie Lessa e l’ex membro della polizia militare Élcio de Queiroz, accusati di avere stretto legami con un gruppo militante. L’inchiesta aveva individuato in Lessa l’autore materiale della sparatoria, mentre de Queiroz avrebbe guidato il veicolo che pedinava l’auto di Marielle. Finora, nessuno dei due è stato condannato in via definitiva.

Nel frattempo, una serie di politici di Rio de Janeiro sono sospettati di aver ordinato l’assassinio della giovane donna, tra cui figurano il consigliere Marcelo Siciliano (PHS), l’ex consigliere Cristiano Girão e l’ex deputato Domingos Brazão, consigliere extragiudiziale della Corte dei Conti dello Stato (TCE). Tutti negano qualsiasi coinvolgimento nella vicenda. Pertanto, i mandanti e le motivazioni del gesto criminale sono ancora poco chiari.

Il deputato federale Marcelo Freixo (PSOL-RJ), ha spiegato che, al momento, la polizia civile sarebbe impegnata nell’identificazione del gruppo politico resosi responsabile della morte di Marielle, per comprendere le reali motivazioni che avrebbero spinto gli eventuali mandanti ad ordinarne l’eliminazione.

Da quanto emergerebbe dal più recente filone di indagini, condotte da Polizia Civile in collaborazione con la Procura della Repubblica, l’omicidio di Marielle sarebbe stato ordinato come forma di vendetta proprio nei confronti di Freixo, collega di partito di Marielle distintosi per la sua opposizione alle milizie cittadine. Marielle aveva lavorato per un decennio nell’ufficio di Freixo prima di essere eletta consigliera comunale.

La “mattanza” dei difensori dei diritti umani

L’efferato omicidio rivela le innumerevoli difficoltà e i costanti pericoli che i difensori dei diritti umani si trovano ad affrontare oggi non solo in Brasile, ma anche nel resto dell’America Latina e del mondo. Vittime di minacce, aggressioni e omicidi, soprattutto quando operano nelle aree rurali del Brasile, i difensori dei diritti umani sono facili bersagli. Negli stati del Pará e di Maranhão i difensori sono maggiormente a rischio e le loro vite sono spesso appese ad un filo.

Fonti: DW/Política Livre

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Donatella Vincenti. Laureata in Lingue e Scienze Politiche, nel 2017 ha conseguito un dottorato alla Luiss sulla transizione ecologica nel mondo arabo-islamico. Nel 2015 ha curato la rubrica "Green Islam" per la webradio Radio Bullets.

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