Due giornalisti rapiti e torturati: cercavano la verità sulle armi chimiche in Darfur

Rapiti e torturati perché volevano raccontare ciò che succede nella regione sudanese del Darfur, dove Amnesty International denuncia da anni l’uso di armi chimiche contro i civili.

Rapiti e torturati perché volevano raccontare ciò che succede nella regione sudanese del Darfur, dove Amnesty International denuncia da anni l’uso di armi chimiche contro i civili.

Phil Cox è un giornalista investigativo londinese, uno di quelli che consuma la suola delle scarpe per toccare con mano la verità. Il governo del Sudan non concede visti ai giornalisti stranieri per entrare direttamente in Darfur.

Cox ha aggirato l’ostacolo partendo da Londra a dicembre con destinazione Ciad, da lì in Sudan ha incontrato il giornalista e autore darfuriano, Daoud Hari.

L’obiettivo dei due giornalisti era quello di filmare ciò che accade in questa regione e approfondire le denunce di Amnesty International in merito all’uso di armi chimiche usate nel 2016 contro la popolazione del Jebel Marra, dove secondo l’organizzazione sarebbero morte 200 persone.

Purtroppo però, la presenza dei due non è passata inosservata. Cox e Hari sono stati arrestati e rapiti dalle Forze rapide d’appoggio dell’esercito sudanese. Dopo sette giorni incatenati a un albero, i giornalisti sono stati portati ad El Fasher, la capitale del Darfur e caricati su un aereo diretto verso la capitale Khartoum.

LEGGI anche: DARFUR, INFERNO SENZA FINE: ARMI CHIMICHE CONTRO I NEONATI

giornalisti rapiti sudan1

Photo: Phil Cox/Native Voice Films

Anche durante il volo non sono mancate le minacce di essere gettati nel vuoto, a Khartoum, nelle celle della prigione di Khober ci sono poi stati pestaggi, torture con la corrente elettrica e semiasfissia.

Del fatto ne dà notizia Amnesty International

“Per quasi due mesi, i due giornalisti sono stati rinchiusi in prigione e torturati, semplicemente per aver fatto il loro lavoro sono stati picchiati, sottoposti a scariche elettriche, deliberatamente privati di ossigeno e sottoposti a false esecuzioni”, spiega Muthoni Wanyeki di Amnesty, in un comunicato.

Secondo l’organizzazione ciò sarebbe la prova lampante che le autorità sudanesi hanno qualcosa da nascondere:

“Se non è stata usata alcuna arma chimica, perché le autorità non permettono che i giornalisti facciano il loro lavoro? Questo dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, la necessità di verificare, attraverso un’inchiesta indipendente, le accuse di attacchi chimici che hanno ucciso tra 200 e 250 persone”.

Secondo i media locali, i due giornalisti sono stati liberati dopo essere stati graziati dal presidente Omar al Bashir.

Hari è stato rilasciato a metà gennaio, mentre Cox i primi di febbraio, quest’ultimo era riuscito a tenere con sé una card con alcune immagini girate in Darfur andate in onda su Channel 4 con il titolo di “Hunted in Sudan”.

Dominella Trunfio

Fonte e foto: Amnesty International

Condividi su Whatsapp Condividi su Linkedin
Iscriviti alla newsletter settimanale
Seguici su Facebook