Dolly, la (vera) storia della prima pecora clonata in laboratorio

Il 5 luglio 1996 veniva alla luce, in laboratorio, la pecora Dolly, divenuta celebre in tutto il mondo per essere stata il primo mammifero clonato con successo. La sua è una storia che ancora oggi fa discutere l'opinione pubblica

Il 5 luglio 1996 nasceva Dolly, destinata a diventare la pecora bianca più nota e la prima nata da madre surrogata. Il professor Ian Wilmut e il suo team, che operava presso il Roslin Institute dell’Università di Edimburgo in Scozia, erano riusciti in un’impresa scientifica unica nel suo genere: dopo 276 tentativi falliti erano stati capaci di trasferire una cellula e il suo nucleo prelevato da una pecora Finn Dorse, dal muso bianco, nell’ovulo privato del suo nucleo di una pecora donatrice, una Scottish Blackface dal muso nero. L’embrione così ottenuto era stato trasferito nell’utero di un’altra pecora.

Ma solo il 22 febbraio dell’anno successivo la nascita dell’animale clonato fu annunciata al mondo intero.

Un esperimento incentrato sullo sviluppo cellulare

L’esperimento rivoluzionario voleva dimostrare come lo sviluppo di una cellula non è irreversibile: la cellula adulta, una volta prelevata, poteva tornare indietro, regredire per svilupparsi ancora. Lo studio venne pubblicato sulla rivista Nature e Dolly, chiamata così in onore della cantante country Dolly Parton, diventò a sua insaputa l’ovino più discusso nella comunità scientifica e non solo.

La vita di un animale clonato

Dolly non trascorse la sue breve vita libera in un prato verde ma sotto il costante occhio clinico di medici e analisti al Roslin Institute. Il suo sviluppo è stato costantemente monitorato anche per osservare possibili connessioni con l’invecchiamento precoce. Ha messo al mondo sei agnelli e nel 2001 le era stata diagnosticata una forma artritica salvo poi scoprire che non ne era affetta. A stroncarla però fu un virus che colpì anche altre pecore ospitate nell’istituto, il Jaagsiekte sheep retrovirus (JSRV) che causa il cancro ai polmoni nelle pecore. Dolly è stata addormentata il 14 febbraio 2003, all’età di sei anni a seguito di una malattia polmonare per poi essere imbalsamata e esposta il Museo Nazionale di Scozia.

Una risposta moderna a domande antiche

Prima di Dolly erano stati condotti altri esperimenti ma nessuno era riuscito ad ottenere un risultato come quello dei ricercatori scozzesi. I primi interrogativi sulle cellule, il loro funzionamento e il ruolo nella trasmissione delle caratteristiche in un organismo, si registrano già nel 1800. Negli anni ’30 del 900 l’embriologa tedesca Hilde Mangold riuscì a trasferire parti di un embrione in via di sviluppo in altre parti dell’embrione: fu chiaro che alcune cellule che hanno la capacità di indurre la formazione di organi, altre hanno la capacità di rispondere. Un lavoro che valse il Nobel alla medicina non a lei ma al suo mentore Hans Spemann che cofirmò la ricerca. Tra gli anni ’50 e ’80 lo sviluppo della tecnologia permise di portare avanti altri esperimenti che si conclusero con la clonazione di rane, anfibi e topi.

Dolly, tra scoperte scientifiche e critiche etiche

L’annuncio dell’arrivo di Dolly provocò sentimenti contrastanti. Se da un lato questo episodio ha aperto la strada alla cosiddetta medicina rigenerativa dall’altro ha posto molti dubbi di natura etica. Questo tipo di operazioni non sono ammesse sull’uomo ma solo per scopi di studio. Il Parlamento Europeo nel 2015 ha vietato la clonazione animale ma di fatto questo non proibisce l’uso, ad esempio, topi e scimmie. Lo stesso capoprogetto di quel team, il dottor Wilmut, aveva condiviso sulle pagine del Time qualche perplessità:

 “Anche se usi lo stesso metodo nel modo più coerente possibile, potresti ottenere alcuni cloni con gravi anomalie e alcuni che ne hanno solo di minori”.

Le domande etiche sull’uso di animali come cavie, per diversi tipi di testi fino alla clonazione, restano ancora intatte.

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Fonti: Fondazione Veronesi; Nature; PETA; Università di Edimburgo

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