Se accumuli libri senza leggerli probabilmente ‘soffri’ di Tsundoku

Avete mai sentito parlare di Tsundoku? Il termine è di origine giapponese e indica l'acquisto compulsivo di libri. Perché sì, esistono persone che amano a tal punto i libri da sentire il bisogno di farne provvista a più non posso.

La parola deriva da tsunde, che significa “impilare cose” e oku, che significa “lasciare lì per un po’ di tempo“. Oku è diventato doku, vale a dire lettura, e unendosi con tsunde ha dato vita a questo termine curioso, che ora sta divenendo popolare anche nel nostro paese. Perché, a quanto pare, di lettori che acquistano compulsivamente libri per poi lasciarli sul comodino, ce ne sono parecchi anche in Italia.

Libri che si accumulano in attesa di essere badati e che se a volte hanno la fortuna di farsi ripescare, in altri casi rimangono per anni sugli scaffali. Certo, sarebbe meglio leggerli ma l’estasi che si prova ad acquistarli è tutt’altro che un “male” passeggero.

Una sorta di bibliomania, volendo tradurre il termine nipponico in italiano, definita come disturbo ossessivo-compulsivo che riguarda proprio l’accumulo di libri. Ma c’è una sottile differenza perché se la bibliomania descrive l’intenzione di collezionarli, il termine tsundoku si riferisce a chi è intenzionato a leggerli ma poi se ne dimentica, passando repentinamente a un nuovo acquisto.

Sul web c’è persino chi propone consigli per uscire dal tunnel, per esempio impegnandosi a donare i libri non letti ad altre persone, riorganizzando i volumi, o dicendo addio definitivamente alla carta stampata per darsi al mondo degli eBook, che si possono tranquillamente accumulare senza rischio di occupare spazio.

Ma questa è una mania che quasi nessuno, in realtà, è disposto a lasciar andare. Perché quant’è poetico accumulare libri che profumano di storie vicine e lontane, sapere di averli lì, a portata di mano, in qualunque momento si decida di partire per un viaggio nell’ignoto! Se poi quel momento non arriva mai poco importa, rincuora l’idea di averli vicino.

Anche voi “soffrite” di tsundoku?

Fonte: Open Culture

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