Per proteggere la nostra storia, dobbiamo guardare alla distruzione dei siti preistorici

Il clima impazzito minaccia le più antiche manifestazioni dell’ingegno umano ancora presenti sulla Terra, ma può essere una lezione per noi

Fenomeni metereologici estremi, aumento delle temperature, desertificazione, minacciano le più antiche manifestazioni dell’ingegno umano ancora presenti sulla Terra

Dagli antichi siti dell’Europa Orientale e del Nord America fino alle Filippine e all’arte rupestre degli indigeni australiani: non c’è sito archeologico preistorico al mondo che non sia minacciato dai cambiamenti del clima provocati dall’uomo. Il rapporto fra clima impazzito e archeologia è stato oggetto di discussione, nei giorni scorsi, al forum Archaeology, History, Indigenous and Heritage responses to the IPCC 6th Assessment Report and agendas for climate research and adaptation, organizzato dalla Flinders University.

Gli esseri umani hanno avuto a che fare con sfide ambientali, cambiamenti climatici estremi e disastri naturali per millenni – spiega l’archeologa Ania Kotarba. – Ma, mentre la gravità e la velocità dei cambiamenti ora è nuova e pressante, la ricerca storico-archeologica può e deve trovare esempi di comunità che nel passato hanno saputo adattarsi ai rapidi cambiamenti, spesso in modo sostenibile, e che possono offrire speranze per il futuro.

Il cambiamento climatico è diventata una delle più importanti e gravi minacce per le persone e per il patrimonio culturale: per esempio, il remoto arcipelago di Kiribati (Micronesia) ha 33 isole e negli ultimi anni è stato soggetto a radicali mutamenti del paesaggio – che aumenteranno ancora nel prossimo futuro a causa del riscaldamento globale. Che siano catastrofici incendi, desertificazione, aumento dei livelli dei mari o erosione delle coste, i siti archeologici che si stanno sgretolando di fronte al nostro sguardo impotente mostreranno ai ricercatori quali siano le strategie migliori per sopravvivere alle sfide ambientali e ai cambiamenti climatici. Nel frattempo, però, è bene che l’umanità inverta la rotta e inizi a ridurre drasticamente le emissioni inquinanti, adattando il proprio stile di vita alle circostanze ambientali che stanno cambiando.

I siti archeologici ora sommersi attorno all’Australia possono rivelarci molte informazioni utili sulle prime fasi della colonizzazione del continente – spiega l’archeologo Peter Ross, intervenuto alla conferenza. – Questi paesaggi antropici sono stati sommersi dall’innalzamento del livello dei mari avvenuto nella preistoria, e possono fornirci un’idea di come l’innalzamento attuale dei livelli dei mari e l’incidenza di cicloni tropicali potranno impattare sulle aree emerse. I cicloni tropicali sono gli eventi metereologici più devastanti che colpiscono le coste australiane, con pesanti conseguenze sulle comunità che in queste zone: si stima che le comunità costiere subiscano almeno un ciclone ogni due anni.

L’evento è stato promosso in risposta al sesto report stilato dall’IPCC, che analizza gli impatti devastanti (e molto spesso irreversibili) del cambiamento climatico: secondo il report, ci sono scarse probabilità di riuscire a limitare l’aumento delle temperature globali a +2°C se non agiamo subito – figuriamoci mantenerlo entro i +1,5°C. Il cambiamento climatico sta già mostrando i suoi effetti in varie regioni della Terra e in modi diversi: desertificazione, aumento delle piogge, aumento del livello dei mari, incendi, cicloni, alluvioni.

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Fonte: Flinders University / Humanities and Social Sciences

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