Melfi: la Fenice ha inquinato le falde acquifere, l’Arpab lo sapeva ma ha taciuto

L'Arpab Basilicata ha pubblicato i dati riferiti al superamento netto dei limiti di ferro, benzene e di altri metalli pesanti presenti nelle falde acquifere della zona di San Nicola di Melfi, in provincia di Potenza, dove viene ospitato il termovalorizzatore Fenice per il mese di settembre. Il problema però è che tali valori si registravano fin dal 2002, ma nessuno ha fatto nulla. Oggi arrivano i primi arresti.

L’Arpab Basilicata ha pubblicato i dati riferiti al superamento netto dei limiti di ferro, benzene e di altri metalli pesanti presenti nelle falde acquifere della zona di San Nicola di Melfi, in provincia di Potenza, dove viene ospitato il termovalorizzatore Fenice per il mese di settembre. Il problema però è che tali valori si registravano fin dal 2002, ma nessuno li ha comunicati alle autorità. Oggi arrivano i primi arresti.

Il caso della Fenice di Melfi era stato portato alla ribalta dal servizio girato ad aprile da Striscia la Notizia, in cui i cittadini avevano denunciato al Tg satirico il proprio malessere e le preoccupazioni per i rischi connessi alla presenza di uno dei più grandi inceneritori d’Europa alla luce anche dell’aumento dei casi di tumore nella zona. Allora il Ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, aveva annunciato che la questione ”interesserà’ l’Istituto superiore di Sanita”.

Oggi si parla di disastro ambientale e omissioni di atti d’ufficio: i Carabinieri locali hanno eseguito due arresti domiciliari per Vincenzo Sigillito, l’ex direttore generale dell’Arpab, e Bruno Bove, il coordinatore del dipartimento provinciale.

Secondo le ricostruzioni infatti, i due rappresentanti dell’Arpab sapevano da tempo dei livelli eccessivi dei metalli pesanti presenti nelle falde acquifere, ma non hanno mai comunicato i dati reali alle autorità locali, che avrebbero potuto e dovuto mettere in guardia la popolazione.
Ma c’è di più: stando ai dati dei magistrati, l’impianto di termovalorizzazione dei rifiuti “Fenice” di Melfi ha iniziato a inquinare le falde acquifere locali già dal 2002, ma nessuno si è mai sognato di divulgare i dati.

Dalle indagini è emerso quindi un “pericoloso inquinamento” della falda acquifera provocato dal termovalorizzatore, che sprigiona metalli pesanti e solventi organici cancerogeni: dati non comunicati dai dirigenti della struttura e non monitorato dall’Agenzia regionale per la protezione ambientale. Nonostante la legge preveda l’obbligo di inviare relazioni periodiche alla Regione, alla Provincia e alla Prefettura.

Insomma, un disastro ambientale provocato e cercato, ma soprattutto coperto proprio da chi dovrebbe invece garantire la sicurezza e la salute dei cittadini.

Verdiana Amorsi

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