I funghi possono salvare le api!

I funghi potrebbero salvare le api. Le proprietà e la versatilità fanno spesso parlare di loro ma un nuovo studio ha scoperto che sono dei veri e propri degli antivirali in grado di combattere i virus nemici delle api

I funghi potrebbero salvare le api. Le proprietà e la versatilità fanno spesso parlare di loro ma un nuovo studio ha scoperto che sono dei veri e propri degli antivirali in grado di combattere i virus nemici delle api.

Pubblicata sulla rivista scientifica Nature’s Scientific Reports, la ricerca è stata condotta da Host Defence e dalla Washington State University.

Gli scienziati hanno esaminato il micelio di due funghi, Reishi e Amadou, e hanno dimostrato che essi aiutano il sistema immunitario alle api rafforzandolo.

“Questa ricerca fornisce una soluzione praticabile contro gli agenti stressanti che minacciano le popolazioni di api e, a loro volta, la biosicurezza alimentare in tutto il mondo. Siamo orgogliosi di continuare il nostro lavoro nel campo della micologia applicata per aiutare le persone e il pianeta” è il commento degli autori della ricerca.

Spiega Paul Stamets, autore principale dello studio, che finora non c’erano antivirali in grado di ridurre i virus nelle api. Ma non solo. Le sostanze rintracciate in questi due funghi sono incredibilmente potenti.

Negli ultimi dieci anni, la storia delle api è stata costellata di morie e di malattie. Nel 2006, gli apicoltori notarono per la prima volta che le loro api si stavano riducendo drasticamente senza un apparente motivo. In alcuni casi, le colonie si ridussero anche del 90%. Le api operaie abbandonavano le loro regine e lasciavano alveari pieni di miele. Quel primo inverno, gli apicoltori Usa persero circa un terzo delle loro colonie. Da allora, i numeri non sono migliorati.

api funghi

Oggi ne sappiamo di più. È la cosiddetta Sindrome dello spopolamento degli alveari, dovuta probabilmente a un mix micidiale di fattori: inquinamento, perdita di habitat, erbicidi e virus, anche se alcuni esperti ritengono che siano proprio questi ultimi la causa principale. Ad esempio, il virus dell’ala deformata causa una deformazione delle ali degli insetti impedendo loro di volare bene.

Finora, gli scienziati non sono stati in grado di sviluppare alcun trattamento antivirale per proteggere le api ma la nuova scoperta potrebbe farlo.

Decenni prima che il collasso della colonia colpisse gli Stati Uniti, Stamets raccontò di aver notato delle api nel suo cortile che si nutrivano di goccioline d’acqua sui funghi che crescevano su trucioli di legno nel giardino. Pensò che potessero ricevere gli zuccheri dai funghi ma fu circa 5 anni fa, dopo aver studiato le proprietà antivirali dei funghi per l’uomo, che stabilì la connessione con i virus che colpivano le api.

“Ho fatto questo sogno ad occhi aperti, ‘Penso di poter salvare le api'”, racconta.

In collaborazione con ricercatori della Washington State University, Stamets ha deciso di condurre uno studio in due parti per testare la sua teoria secondo cui i funghi potrebbero trattare i virus nelle api. Per prima cosa, in un esperimento controllato, insieme al suo team ha aggiunto piccole quantità di estratto di funghi, o “brodo miceliale”, al cibo delle api (acqua zuccherata) a concentrazioni variabili e ha misurato il modo in cui influiva sulla loro salute. Poi ha testato gli estratti più performanti sul campo. E questi funzionavano meglio di quanto sperato.

Il team ha misurato i livelli dei virus in 50 api da 30 diverse colonie. Quelle in cui gli insetti impollinatori consumavano gli estratti di micelio, erano 79 volte meno colpite dal virus dell’ala deformata dopo 12 giorni rispetto alle api che mangiavano solo acqua zuccherata.

Secondo Stamets, i funghi non sono farmaci antivirali ma hanno la capacità di supportare il sistema immunitario favorendo l’immunità naturale e rendendola capace di contrastare meglio i virus.

Anche se saranno necessarie ulteriori ricerche per comprenderne fino in fondo le potenzialità, è indubbio che i funghi possano essere d’aiuto per le api.

Lo studio è stato pubblicato su Nature.

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Francesca Mancuso

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