Incentivi fotovoltaico 2012: a che punto siamo dopo il decreto liberalizzazioni

A che punto siamo con gli incentivi al fotovoltaico dopo lo stralcio dell'art. 65 dal dl liberalizzazioni?

Gli operatori del fotovoltaico possono tirare un sospiro di sollievo: l’art 65 del decreto liberalizzazioni è stato ritoccato e non ci sarà nessun effetto retroattivo per gli incentivi agli impianti fotovoltaici a terra su aree agricole. Le associazioni del settore e delle energie rinnovabili avevano infatti protestato per il contenuto della prima versione dell’articolo che avrebbe rischiato, secondo i rappresentanti del mondo fotovoltaico, di paralizzare anche gli investimenti in corso. Se, infatti, gli investitori erano convinti di aver un anno di tempo per beneficiare degli incentivi del Quarto Conto Energia, così come previsto dal decreto legisaltivo del 3 marzo 20111, la prima versione dell’articolo 65 aveva modificato tale previsione, dando la possibilità di beneficiare degli incentivi solo per gli impianti entrati in esercizio prima del 24 Gennaio 2012.

Il presidente di Ifi Alessandro Cremonesi ha commentato positivamente lo stralcio dell’art. 65 del decreto, riguardante gli impianti fotovoltaici su terreni agricoli.“Prendiamo atto con favore dello stralcio dell’articolo 65 del Dl Liberalizzazioni, voluto dalla commissione Industria del Senato. È il risultato di una collaborazione virtuosa tra politica e associazioni del settore che hanno saputo mettere in evidenza il danno economico e l’incongruenza di una norma che aveva un inaccettabile valore retroattivo. Ora gli impianti fotovoltaici in costruzione sui terreni agricoli possono tornare ad accedere al conto energia. Questo consentirà di portare a termine i progetti avviati che avevano subito un stop con ingenti danni per chi aveva già sostenuto gli investimenti”.

Tra le associazioni, però, non manca chi ha colto l’occasione per pungolare ulteriormente il Governo, come ad esempio l’AEF (Asso Energie Future) che è partita da lontano, dal tanto criticato decreto Romani: “Il decreto Romani, la norma ‘ammazza-rinnovabili’ che ha preceduto il Quarto Conto Energia, ha appena compiuto un anno“. Così, infatti, inizia il comunicato stampa dell’associazione, che continua riportanto le dichiarazioni del presidente Massimo Daniele Sapienza– ” Un compleanno molto amaro: nonostante la crescita impressionante cui abbiamo assistito nell’ultimo anno, in Italia il comparto – delle rinnovabili uno dei pezzi più promettenti dell’economia tricolore – sta franando. Purtroppo oggi è a rischio il 50% degli occupati diretti nel fotovoltaico: 10.000 posti di lavoro circa che rischiano di saltare”.

In Veneto, la patria del solare made in Italy, “ci sono 1.250 addetti in cassa integrazione e 5.000 rischiano di andarci presto. Su 10 mila totali”. A Padova, la capitale del fotovoltaico, prosegue Sapienza, “sono tantissime le aziende in sofferenza: X-Group, Solon, Ecoware, Ecoprogetti, Helios Technology, Ambra Sol. Ci sono multinazionali che lasciano l’Italia: BP Solar, Sun Power, Photowatio, GE Stamp, Dalkia Solar Italia, AES Sole, Global Solar Fund. La Divisione Inverter di Ansaldo Sistemi Industriali, Solsonica, Elettronica Santerno, MX Group, Enerqos: tutte aziende in sofferenza”. Tutto, “grazie ad una norma che un anno fa ha cambiato le regole in corsa. Una scelta punitiva verso un settore che può svolgere un ruolo fondamentale nel futuro economico, industriale ed ambientale del Paese”. Il Governo Monti – conclude Sapienza- “ha la competenza e la possibilità di elaborare una visione strategica dell’energia in cui le rinnovabili possano trovare lo sviluppo che tutta Europa, per non parlare del resto del mondo, sta assegnando loro, nonostante la crisi. Chiediamo con forza che si dia il via all’elaborazione di un Piano energetico nazionale orientato alla green economy attraverso le rinnovabili“.

C’è poi chi, come l’APer, chiede invece che la nuova disciplina sugli incentivi alle rinnovabili elettriche, visto l’ingente ritardo, a questo punto sia ulterioremente prorogata, almeno fino al gennaio del 2014.

Con una lettera indirizzata alla presidenza del Consiglio dei Minstri ed ai minsteri dello Sviluppo economico, dell’Ambiente e delle Politiche Agricole, infatti, Aper motiva la sua richiesta: “Da quasi un anno –spiega Aper – il settore delle rinnovabili attende l’adozione del decreto ministeriale previsto dall’articolo 24 del D.Lgs. n. 28/2011, a cui il D.Lgs. stesso affida la compiuta disciplina del nuovo sistema incentivante per gli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili che entreranno in esercizio dopo il 31 dicembre 2012”. “Il D.Lgs 28/11 dispone proprio il cambio di incentivi per gli impianti in esercizio dal 2013: “il D.Lgs. n. 28/2011 –scrive l’Associazione- aveva disposto che il decreto ministeriale dovesse essere adottato entro 6 mesi dalla sua entrata in vigore (29 marzo 2011) quindi entro il 29 settembre 2011. L’adozione del decreto ministeriale, in altre parole, avrebbe dovuto avvenire con largo anticipo (21 mesi) rispetto alla entrata in vigore della nuova disciplina incentivante, prevista a partire dal 1° gennaio 2013” continua l’associazione.

Visto però il ritardo, che ha causato secondo l’associazione il blocco di molte iniziative cantierabili per l’incapacità di prevedere i costi ed i benefici delle operazioni, a queso punto sarebbe meglio differire ulteriormente l’entrata in vigore dei nuovi incentivi, così da non creare squilibri e garantire, invece, un periodo di assestamento, conoscibilità delle norme e programmazione degli interventi. Aper, infatti, “auspica che sia posticipata l’applicazione della nuova disciplina incentivante almeno al 1° gennaio 2014 e, comunque, sia assicurato un termine dall’entrata in vigore del decreto ministeriale almeno pari quello già di fatto previsto dal D.Lgs. (21 mesi)”. Un periodo ritenuto sufficiente e necesario per ristabilire la certezza e la fiducia degli investitori, così da poter portare a termine anche le iniziative industriali già intraprese con le regole precedenti e pianificare correttamente le iniziative future.

A intervenire sulla questione anche Legambiente che, nonostante la modifica all’emendamento nell’ultima versione del dl liberalizzazioni, critica aspramente la discrimazione fatta alle imprese agricole invitandole a far sentire la propria voce:

Perché mettere un limite al fotovoltaico sui tetti in area agricola? Che senso ha frenare la diffusione dei tetti rinnovabili in campagna?” Lo chiede Legambiente in relazione all’articolo 65 del Dl Liberalizzazioni che, dopo lo stop agli incentivi per tutti gli impianti fotovoltaici a terra in area agricola, nella versione approvata al Senato estende il divieto anche agli impianti sui tetti di potenza maggiore di 200kW.

Lo stop alle agevolazioni economiche anche per gli impianti a terra di piccole dimensioni, evidentemente utili per integrare il reddito degli agricoltori, risultava già di difficile comprensione – ha dichiarato il vicepresidente di Legambiente Edoardo Zanchini – ma negare ora la possibilità di usufruire degli incentivi anche per il fotovoltaico sui tetti nelle aree agricole, appare totalmente assurdo. Perché, in sostanza, discrimina gli agricoltori rispetto a tutti gli altri soggetti proprietari di un tetto, e impedisce una direzione di sviluppo delle fonti rinnovabili intelligente e lungimirante come quella dell’integrazione in agricoltura. Ci auguriamo che questa scelta venga modificata perché altrimenti suonerebbe come il tentativo, da parte di Parlamento e Governo, di dare un freno allo sviluppo delle fonti rinnovabili e in particolare al fotovoltaico”.

La nuova versione dell’emendamento riapre invece la possibilità di realizzare impianti fotovoltaici a terra in area agricola, sia per quelli che hanno già il titolo abilitativo e che hanno due mesi di tempo per realizzare impianti anche di grande taglia e senza limiti, che per progetti che riescono a ottenere il titolo abilitativo entro la data di entrata in vigore del Decreto Legge, che hanno ancora 6 mesi di tempo ma devono rispettare alcuni limiti, di dimensione massima di 1 MW e di superficie occupata.

In questo caso, probabilmente, la pressione delle imprese ha sortito i suoi effetti – ha concluso Zanchini – . Chiediamo quindi anche alle associazioni agricole di far sentire la propria voce per esigere il ripristino di un giusto diritto”.

Andrea Marchetti


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