IWI: il nuovo indice alternativo al PIL lanciato dall’ONU a Rio+20 che considera il capitale naturale

Il dibattito internazionale in corso attorno all'attualità del Prodotto Interno Lordo PIL quale indice fedele della crescita economica e sociale di un Paese non poteva rimanere fuori dall'appuntamento dell'anno. Rio+20 non ha ancora ufficialmente aperto i battenti e già viene anticipato che tra le discussioni che potrebbero tenere svegli i diplomatici e i capi di stato che parteciperanno all'appuntamento, ci sarà anche una concreta proposta di indice alternativo in grado di determinare il grado di benessere delle nazioni, più che la ricchezza o la "crescita".

Il dibattito internazionale in corso attorno all’attualità del Prodotto Interno Lordo PIL quale indice fedele della crescita economica e sociale di un Paese non poteva rimanere fuori dall’appuntamento dell’anno. Rio+20 non ha ancora ufficialmente aperto i battenti e già viene anticipato che tra le discussioni che potrebbero tenere svegli i diplomatici e i capi di stato che parteciperanno all’appuntamento, ci sarà anche una concreta proposta di indice alternativo in grado di determinare il grado di benessere delle nazioni, più che la ricchezza o la “crescita“.

È l’ONU a farsene portavoce attraverso l’International Human Dimensions Programme on global environmental Change (Unu-Ihdp dell’Università Onu) e l’United Nations Environment Programme (Unep). Si chiamerà IWI (Inclusive Wealth Index e avrà il ruolo di includere non solo i parametri che rilevano la produzione di un Paese, ma anche il suo capitale umano e naturale, con l’obiettivo di far emergere un indice della ricchezza basato sulla sostenibilità della crescita.

Un primo tentativo di applicazione è stato illustrato all’interno del Inclusive Wealth Report 2012 presentato in questi giorni a Rio. Il rapporto analizza la ricchezza “inclusiva” dal 1990 al 2008 in 20 Paesi che da soli rappresentano almeno il 76% del Pil del pianeta e il 56% della popolazione mondiale: Arabia Saudita, Australia, Brasile, Canada, Cile, Cina, Colombia, Ecuador, Francia, Germania, Gran Bretagna,India, Giappone, Kenya, Nigeria, Norvegia, Russia, Sudafrica, Stati Uniti e Venezuela. Alcuni Paesi sono stati scelti sulla base dell’ipotesi che il capitale naturale sia particolarmente importante per la loro produttività di base, come nel caso del petrolio in Ecuador, Nigeria, Norvegia, Arabia Saudita e Venezuela, dei minerali in Paesi come il Cile e delle foreste in Brasile. Tra questi, c’è da registrare l’assenza dell’Italia.

Anantha Duraiappah, report director dell’Iwr e direttore esecutivo dell’Unu-Ihdp, delinea alcune immediate conclusioni che emergono dal prospetto e dichiara che: «Nonostante la registrazione di una crescita del Pil, la Cina, gli Stati Uniti, il Sudafrica e il Brasile mostrano di avere impoverito notevolmente la base del proprio capitale naturale, la somma di un insieme di risorse rinnovabili e non rinnovabili, come i combustibili fossili, le foreste e la pesca. Nel corso del periodo analizzato, le risorse naturali pro-capite sono diminuite del 33% in Sud Africa, del 25% in Brasile,del 20% negli Stati Uniti, e del 17% in Cina. Di tutti i 20 Paesi presi in esame, solo il Giappone non ha visto un calo del capitale naturale, grazie a un aumento della copertura forestale».

Eppure, a guardare i dati del PIL, questi Paesi avrebbero testimoniato dei balzi in avanti epocali: + 422% per la Cina, + 37% per USA, + 31% per il Brasile e + 24% per il Sudafrica. Un aumento della crescita come quella registrata in queste realtà emergenti non è indice del fatto che le future generazioni (https://www.greenme.it/lifestyle/arte-e-cultura/7844-economia-dell-abbastanza-libro) ne potranno godere allo stesso modo: l’aumento della popolazione è la prima diretta conseguenza che incide sull’assottigliamento dei livelli pro-capite di ricchezza (a fronte di rischi di diseguaglianze rispetto all’accesso). Segue il rapporto tra la crescita della produzione e il consumo del capitale naturale: 19 dei 20 paesi presi in analisi ha sperimentato una diminuzione del capitale naturale lasciando presagire, per Paesi come Russia, Venezuela, Arabia Saudita, Colombia, Sudafrica e Nigeria anche un veloce avvicinamento alla soglia dello squilibrio insostenibile della propria crescita.

L’investimento nel capitale umano, spesso coincidente con l’accesso all’innovazione tecnologica compensa talvolta al disinvestimento in quello naturale, portando comunque la popolazione a percepire livelli di benessere maggiore.

Si sottolinea all’interno del documento che «Mentre la ricchezza inclusiva è aumentata nella maggior parte dei Paesi, il rapporto dimostra che l’esame del capitale naturale è fondamentale per i policy makers. Anche se una riduzione del capitale naturale può essere compensata con l’accumulazione di capitale umano e di manufatti, che sono riproducibili, molte risorse naturali come il petrolio e i minerali non possono essere sostituite. Di conseguenza, per una definizione più inclusiva della ricchezza che garantisca un’eredità alle generazioni future è urgente la discussione sullo sviluppo economico e sociale».

IWI-per-capita

Il documento inizierà a essere redatto con cadenza biennale con l’obiettivo di incorporare all’interno delle discussioni e delle direttive internazionali sul tema delle politiche macroeconomiche indici di valutazione più vicini alla realtà e capaci di indirizzare in maniera corretta la pianificazione futura.

Pamela Pelatelli

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