La corsa verso nuovi 50 progetti di centrali a gas non è la vera conversione energetica che dovrebbe fondarsi sulle rinnovabili

48 nuovi progetti in Italia di centrali a gas per entrare in funzione nel momento in cui il vento smette di soffiare o il sole è coperto

48 nuovi progetti in Italia di centrali a gas per entrare in funzione nel momento in cui il vento smette di soffiare o il sole viene coperto dalle nuvole. C’è qualcosa che non quadra in questa “transizione energetica”

Quasi 50 nuovi impianti a gas fossile per il capacity market, ossia la procedura per partecipare all’asta per la fornitura di capacità di energia elettrica, pesantemente sussidiati. La spinta verso la decarbonizzazione in Italia rischia di tramutarsi nella corsa a circa 18.500 megawatt di potenza.

Se un passo in avanti potrebbe essere la chiusura definitiva di 7.961 MW di centrali a carbone entro il 2025, quello stesso passo potrebbe essere facilmente frenato da quella corsa verso nuove realizzazioni e ampliamenti di centrali a gas, metanodotti, depositi, rigassificatori e nuove richieste sul fronte delle estrazioni di idrocarburi diffusi in quasi tutte le Regioni italiane.

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Ben nuovi 48 progetti che svolgeranno servizio di accumulo e “backup” delle fonti rinnovabili, nell’attesa che in futuro siano disponibili accumulatori con tecnologie sostenibili per scala dimensionale e costi.

Si tratta del cosiddetto “capacity market”, appunto, come ci spiega il Sole 24 Ore, il mercato della potenza, ossia gli impianti preparati per erogare ad alto prezzo e in pochi istanti milioni di chilowattora appena viene coperto da una nuvola il sole che attiva i pannelli fotovoltaici o quando cade il vento che agita le braccia eoliche.

Tra i progetti spiccano Cassano d’Adda (A2A), Bertonico Lodi (Sorgenia), Ravenna (Eni), San Quirico Parma (Edison), Piombino (Meta), le cartiere di Porcari in Lucchesia (Smith Paper), Sulmona e Cassino (Meta), Nera Montoro nel Ternano (Engie), Benevento (Luminosa), Acerra (Friel), Monopoli (Italgreen) o Pace del Mela nel Messinese (Duferco).

In particolare, i rifacimenti e i potenziamenti a gas delle centrali dell’Enel traguardano oltre 6.700 nuovi megawatt, come nella decarbonizzazione annunciata per le centrali a carbone di Brindisi Cerano e Civitavecchia e quella appena riconfermata della Spezia, ma anche Venezia Fusina, Trino (Vercelli), La Casella (Piacenza), Montalto (Viterbo), Larino (Campobasso), Rossano (Cosenza).

La centrale di La Spezia dal carbone al gas

L’autorizzazione da parte del Mite e di Terna alla chiusura dell’impianto a carbone spezzino, era surrettiziamente legata all’imminente autorizzazione alla conversione a gas: tutto questo malgrado l’opposizione del Comune di La Spezia e di altri comuni limitrofi, nonché la contrarietà di massima espressa dalla Regione.

A scriverlo è il WWF, che denuncia: “l’autorizzazione ambientale non tiene conto non solo dei danni ambientali e alla salute già provocati dalla centrale spezzina e delle volontà delle comunità locali, ma nemmeno della necessità di accelerare l’uscita dai combustibili fossili, evitando il passaggio da un combustibile fossile a un altro”.

Autorizzare un crescente numero di nuovi impianti a gas, che si reggono solo con il vantaggioso (per gli operatori) meccanismo del capacity market, tra l’altro pagato da tutti i cittadini italiani, non sembra proprio la migliore strada per la conversione energetica che dovrebbe fondarsi su fonti rinnovabili, sistemi di accumulo diversificati, reti intelligenti e non certo sul gas.

L’invito del WWF è quello di confrontarsi con istituzioni e cittadini, di non fermarsi al guadagno immediato ma di usare tutte le occasioni per premere davvero l’acceleratore della transizione.

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