Sushi, troppo cadmio nelle alghe nori e wakame. L’allarme dell’agenzia francese

Le alghe commestibili sono contaminate da metalli pesanti come il cadmio. L'agenzia francese Anses chiede di abbassare i livelli massimi consentiti

Nelle alghe commestibili, in particolar modo wakame e nori,  sono presenti tracce di diversi metalli pesanti tra cui il cadmio. L’Agenzia per la sicurezza alimentare francese (Anses) chiede alle aziende di limitarne la concentrazione.

Il consumo di alghe è tradizionale in molti paesi asiatici ma anche in Europa sono diventate popolari grazie al successo dei ristoranti giapponesi e al sushi. Consumate come verdure o trasformate (essiccate, salate, fresche, imbottigliate, ecc.), alcune specie di alghe vengono utilizzate anche negli integratori alimentari.

Ma quali rischi nasconde il consumo di alghe?

Si torna a parlare della contaminazione di questi alimenti da parte di metalli pesanti. Poche settimane fa a lanciare l’allarme era stato l’Ufficio federale tedesco per la protezione dei consumatori e la sicurezza alimentare (BVL) in seguito ad un test effettuato su un vasto campione di alghe secche.

Stavolta ad avvertire dei rischi è l’agenzia francese Anses che raccomanda di limitare l’esposizione al cadmio che proviene proprio dal consumo di alghe commestibili.

Secondo quanto riporta l’Anses, infatti, quasi un quarto dei campioni di alghe commestibili analizzati di recente aveva concentrazioni di cadmio superiori al livello massimo di 0,5 milligrammi per chilogrammo stabilito dall’Alto Consiglio francese per la sanità pubblica (CSHPF).

Dato che il cadmio è classificato come cancerogeno per l’uomo, la Direzione generale per la concorrenza, gli affari dei consumatori e il controllo delle frodi ha chiesto all’Agenzia di raccomandare livelli massimi di cadmio per le alghe destinate al consumo umano.

C’è da considerare, tra l’altro, che i consumatori sono già esposti al cadmio attraverso il consumo di altri alimenti o l’inalazione attiva e passiva del fumo di tabacco. L’Agenzia francese raccomanda dunque che le massime concentrazioni di cadmio nelle alghe commestibili siano impostate a ribasso per evitare che la popolazione sia sovraesposta a questa sostanza.

Il problema delle alghe è che queste hanno una propensione a legarsi facilmente ai contaminanti ambientali (cadmio, arsenico, piombo, ecc.).

Il cadmio è un contaminante diffuso nell’ambiente allo stato naturale e in conseguenza dell’attività umana, in particolare dell’agricoltura e dell’industria. Viene assorbito dalle piante grazie alle loro radici, attraverso le quali entra nella catena alimentare.

Il cadmio è noto per essere cancerogeno, mutageno e tossico per la riproduzione e un’esposizione prolungata può provocare danni ai reni e fragilità ossea, in particolare proprio a seguito dell’esposizione attraverso cibo e acqua.

Puntare ai livelli di cadmio più bassi possibili nelle alghe commestibili è dunque di fondamentale importanza e, non a caso, anche la Commissione europea sta prendendo in considerazione la possibilità di fissare livelli massimi non solo di questa sostanza ma anche di arsenico e piombo nelle alghe.

L’Agenzia francese propone di fissare un livello massimo di cadmio di 0,35 milligrammi per chilogrammo di sostanza secca nelle alghe commestibili. Questo livello garantirebbe che l’assunzione giornaliera tollerabile di cadmio non venga superata nel 95% dei casi.

Dato che le alghe contribuiscono in modo significativo all’esposizione alimentare al cadmio, abbassare il livello ridurrebbe il contributo di questo alimento all’assunzione giornaliera tollerabile di cadmio all’11,5% (attualmente è al 19%).

Al fine di limitare l’esposizione al cadmio, Anses sottolinea che ora spetta alle autorità competenti definire i modi più appropriati di fissare i livelli massimi, tenendo conto sia dell’alga che di altre fonti di assunzione di cadmio.

L’Agenzia ricorda inoltre ai consumatori che la contaminazione da cadmio è maggiore per le alghe marroni (ad esempio il wakame) e le macroalghe rosse (come l’alga nori, ingrediente del sushi).

Fonte: Anses 

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