Fotovoltaico organico: i 3 migliori progetti di pannelli solari autoriparanti

Negli ultimi anni i ricercatori impegnati nel settore del fotovoltaico hanno fatto passi da gigante. Oltre a creare moduli galleggianti, spray, flessibili, a base organica, microscopici, autopulenti, ecc ecc, hanno anche tentato di migliorare la resa dei pannelli stessi, aumentandone ad esempio la durata di vita (oggi intorno ai 20-25 anni). Le celle fotovoltaiche, infatti, subiscono ogni giorno stress più o meno forti, come le altetemperature, l'escursione termica giorno/notte, l'azione di vento, polvere, sabbia e via dicendo. Per ovviare a questo, un filone di ricerca si è concentrato sullo studio di pannelli autoriparanti, ed ecco di seguito i tre migliori progetti del momento!

Negli ultimi anni i ricercatori impegnati nel settore del fotovoltaico hanno fatto passi da gigante. Oltre a creare moduli galleggianti, spray, flessibili, a base organica, microscopici, autopulenti, ecc ecc, hanno anche tentato di migliorare la resa dei pannelli stessi, aumentandone ad esempio la durata di vita (oggi intorno ai 20-25 anni). Le celle fotovoltaiche, infatti, subiscono ogni giorno stress più o meno forti, come le altetemperature, l’escursione termica giorno/notte, l’azione di vento, polvere, sabbia e via dicendo. Per ovviare a questo, un filone di ricerca si è concentrato sullo studio di pannelli autoriparanti, ed ecco di seguito i tre migliori progetti del momento!

1) Celle solari autoriparanti del MIT

MITautoriparanti

  1. Al primo posto c’è senza dubbio il tentativo del Massachussets Institute of Technology, di cui vi avevamo già parlato qualche mese fa. Ai laboratori del Mit stanno cercando di imitare la Natura, creando delle molecole che, grazie all’aggiunta o alla rimozione di un semplice additivo, si scindono o ricombinano di continuo, proprio come le molecole di fosfolipidi presenti nelle foglie.

    Questo permetterebbe a eventuali pannelli solari a base organica di durare molto di più, avendo un “tessuto” dinamico e non statico.

    2) Celle solari autoriparanti con nanotubi di carbonio della Purdue University

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  2. Al secondo posto ci sono i ricercatori della Purdue University (Indiana, USA), anche loro impegnati nel tentativo di imitare i meccanismi della Natura. In questo caso però, anche se il principio dell’autoriparazione è lo stesso, i metodi per attuarlo sono diversi. Il team della Purdue, infatti, sta sperimentando una combinazione di nanotubi di carbonio e filamenti di DNA geneticamente modificati, in grado di sostituire le molecole di cromofori impiegate nelle celle a base organica. Proprio l’impiego dei cromofori, di origine batterica, quindi naturali, o sintetica, è la chiave di volta dell’intero progetto.

    3) Celle solari autoriparanti con liquido multicromatico cristallino sintetico

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  3. Al terzo posto lo studio di un team di ricercatori dell’Indiana University, anch’esso focalizzato sull’imitazione della Natura come approccio scientifico al problema. Per rendere possibile l’autoriparazione si sta seguendo la pista di un liquido multicromatico cristallino sintetico. Gli ultimi esperimenti dimostrerebbero che tale liquido, se impiegato in celle solari a base organica, smorzerebbe gli sbalzi di temperatura, attutendo allo stesso tempo gli effetti collaterali delle altissime temperature. Anche in questo caso, il risultato principale sarebbe l’allungarsi della vita media dei moduli fotovolotaici.

Difficile prevedere quale di questi studi andrà a buon fine e quale invece sarà abbandonato. Una cosa è certa: l’imitazione della Natura, che accomuna tutte e tre le ricerche, rimane ancora oggi una delle strade più battute dall’uomo. Quello sapiens però.

Roberto Zambon

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