Una spaventosa estinzione di massa (sconosciuta alla scienza) sarebbe avvenuta 30 milioni di anni fa

Un periodo di freddo intenso alla fine dell'Eocene avrebbe provocato un'estinzione di massa non solo in Asia, ma anche nel continente africano

Un periodo di freddo intenso alla fine dell’Eocene avrebbe provocato un’estinzione di massa non solo in Asia (come si era ritenuto finora) ma anche nel continente africano

La fine del periodo geologico denominato Eocene, circa 33 milioni di anni fa, ha segnato un grande cambiamento per la storia della Terra. Contrariamente a ciò che stiamo sperimentando oggi (per effetto, purtroppo, della crisi climatica), le temperature sul pianeta si sono repentinamente abbassate e i ghiacciai si sono espansi fino alle regioni equatoriali. Gli scienziati, fino ad ora, erano conviti che il continente africano (diversamente da altre regioni del globo) non fosse stato interessato da importanti cambiamenti climatici ed ambientali – ma le ultime scoperte archeologiche sembrano mettere in discussione questa certezza.

I risultati di un nuovo studio appena pubblicato dimostrano che i mammiferi della penisola araba e del continente africano – anziché prosperare in conseguenza del clima più fresco – hanno sperimentato un significativo declino: addirittura due terzi della biodiversità della regione sarebbe scomparsa 30 milioni di anni fa. Non è ancora chiaro cosa abbia provocato questa estinzione di massa, anche se i repentini cambiamenti nelle temperature e l’intensa attività vulcanica dell’area hanno certamente avuto un’influenza.  Ad ogni modo, qualunque sia stata la causa del declino delle specie, il “vuoto” ecologico lasciato da quest’estinzione di massa non è rimasto scoperto a lungo: secondo gli scienziati, infatti, dopo la scomparsa degli animali si è assistito a un periodo di rinascita e prosperità nell’area.

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Molto di ciò che sappiamo su questo cambiamento climatico e sul passaggio dall’Eocene all’epoca geologica successiva (l’Oligocene) deriva dall’analisi dei cambiamenti negli isotopi dell’idrogeno all’interno dei sedimenti scoperti sui fondali oceanici. Combinando questi isotopi con altri dati, relativi per esempio al mutamento nel livello dei mari o alla crescita dei ghiacciai, gli archeologi sono riusciti a ricavare un quadro generale dei cambiamenti che hanno investito il nostro pianeta. Ovviamente, anche il ritrovamento dei (rari!) fossili ha contribuito a definire un’immagine più precisa di ciò che è accaduto milioni di anni fa.

Tuttavia, le tracce rinvenute sulla terraferma spesso forniscono indizi che vanno in contrasto con quelli dei reperti sommersi dall’oceano: ecco perché da una parte abbiamo traccia di animali scomparsi a causa del freddo nel nord-est dell’Africa, mentre dall’altra ci sono tracce indicanti che il continente non ha subito alcun cambiamento climatico alla fine dell’Eocene. Gli stessi reperti fossili possono essere difficili da interpretare a causa della loro tendenza a sovrapporre le sedimentazioni: non tutte le specie lasciano i loro resti ben conservati a riparo da agenti atmosferici e da altri animali, e l’esposizione alle contaminazioni successive è ciò che ne compromette la datazione.

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Fonte: Communications Biology

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