Pellicce da animali domestici: in Italia un business che vale 86 mln di euro l’anno

Se parliamo di giubbotti e pellicce fatti con il pelo di animali domestici come cani e gatti, pensiamo subito ai mercati asiatici e alla Cina in particolare. E invece, purtroppo, questa pratica atroce e illegale viene messa in atto anche nel nostro paese, stando all'allarme lanciato dall'Associazione italiana difesa animali e ambiente (Aidaa).

Se parliamo di giubbotti e pellicce fatti con il pelo di animali domestici come cani e gatti, pensiamo subito ai mercati asiatici e alla Cina in particolare. E invece, purtroppo, questa pratica atroce e illegale viene messa in atto anche nel nostro paese, stando all’allarme lanciato dall’Associazione italiana difesa animali e ambiente (Aidaa).

Secondo l’Aidaa, infatti, il giro d’affari legato al traffico clandestino di pellicce provenienti da animali domestici ammonta più o meno a 86 milioni di euro all’anno, con circa 1 milione di capi immessi sul mercato, di cui almeno la metà proveniente da laboratori e concerie italiani. Ben 250mila tra gatti, cani e conigli vengono allevati, venduti o rapiti per essere poi uccisi e diventare colli di pellicce, interni di giubbotto, cappelli o bordini di maniche e stivali.

In particolare, fa sapere l’Aiaa, vengono usati gatti neri e conigli, il cui manto è di facile lavorazione e colore uniforme. Una pratica crudele e, ricordiamo, totalmente illegale nel nostro Paese, che però viene perpetuata proprio per la mancanza di controlli:Una certa attenzione – denuncia Lorenzo Croce, presidente nazionale di Aidaa – andrebbe rivolta anche agli allevamenti di gatti e ai rifugi semiclandestini dove non esiste un registro di carico e scarico degli animali che entrano e che vengono dati in adozione.

In molti di questi rifugi, infatti, gli animali vengono venduti o ceduti senza troppi rimorsi ai laboratori che li trasformeranno in pellicce: Credo di poter dire con certezza– continua Croce – che sono almeno un centinaio le strutture interessate a questo tipo di orrendo commercio e che alcune di queste si trovano anche nelle regioni del centro Nord Italia, e che per questo motivo nei prossimi giorni presenteremo un dossier alle Procure della Repubblica interessate e competenti territorialmente.

Pare si stia parlando di capi che poi finiscono nelle bancarelle, in negozi o nei rivenditori non autorizzati in cui si trova abbigliamento non di marca e a poco prezzo. Non solo Cina dunque ma, come spesso accade, l’orrore è proprio dietro casa nostra: un buon modo per evitare di essere complici di questo eccidio di massa è ovviamente quello di rinunciare ai capi in pelliccia ed essere sicuri, quando si scelgono quelli sintetici, della provenienza e della composizione dei nostri acquisti. Cosa che verrà resa ancora più facile a partire dal prossimo anno, grazie al nuovo regolamento europeo che impone di indicare in etichetta la presenza di parti animali nei capi d’abbigliamento. Ovviamente la parte grossa dovrà poi farla lo Stato, con leggi molto più severe nei confronti di chi non rispetta le regole più basilari della conceria e controlli a tappeto su tutto il territorio italiano.

Eleonora Cresci

 

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