Maltrattamento animali: storica sentenza della Corte di Cassazione

Nessuna distinzione di specie, ovunque e a carico di chiunque. Non vi sono soggetti e situazioni esenti ed animali sottratti alla tutela. È quanto stabilisce una storica sentenza della Corte di Cassazione

Un principio fondamentale in materia di crimini contro gli animali: i delitti di maltrattamento e uccisione degli animali sono sempre applicabili a qualunque specie animale, anche in presenza di leggi speciali come nei circhi, nella sperimentazione, nella caccia e nell’allevamento.

Nessuna distinzione di specie, ovunque e a carico di chiunque. Non vi sono soggetti e situazioni esenti ed animali sottratti alla tutela. È quanto stabilisce una storica sentenza della Corte di Cassazione , che sancisce definitivamente l’applicabilità degli articoli 544 bis e ter del codice penale non solo alle specie d’affezione, ai sensi dell’art. 544- del Codice Penale:

1. Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da 3 mesi a 1 anno o con la multa da 3.000 a 15.000 euro.

2. La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi.

3. La pena è aumentata della metà se dai fatti cui al primo comma deriva la morte dell’animale

Come osservato in dottrina, spiegano i Giudici del Collegio, ‘la ratio ispiratrice della norma è quella di escludere l’applicabilità delle norme penali poste a tutela degli animali con riferimento ad attività obbiettivamente lesive della loro vita o salute a condizione che siano svolte nel rispetto delle normative speciali che le disciplinano perché considerate socialmente adeguate al consesso umano. Una decisione che ha un importante significato giuridico e di importanza culturale.

Perché il pronunciamento della nostra Suprema Corte “conferma dunque che la legge 189/2004 “Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate” non tutela soltanto cani e gatti”, spiega l’Enpa. “Ciò significa che alcune categorie, come quelle dei cacciatori, circensi, vivisettori, pescatori o degli allevatori, nel caso in cui si rendano responsabili di delitti contro gli animali, non potranno più nascondersi dietro un dito – continua l’Enpa – e invocare una vera e propria immunità, connessa alla natura dell’attività che essi svolgono. Auspichiamo quindi che anche magistrati e forze dell’ordine prendano in considerazione questa importante sentenza per garantire la corretta applicazione della legge e il rispetto del sentire collettivo nei confronti degli animali”.

Anche la Lav plaude alla rilevante sentenza per il principio di diritto che ne consegue di cui l’associazione animalista è sempre stata convinta: “lo dicevamo otto anni fa, confortati da avvocati e magistrati, ed ostacolati da diversi settori di opposta e netta posizione. Le previsioni del titolo IX-bis e dell’articolo 727 del Codice penale si applicano a tutti gli animali, con i limiti delle previsioni delle leggi speciali, se esistenti, dovuti non solo a questo settore. Senza zone franche. La legge 189 del 2004 non era e non è una legge solo per cani e gatti. Da sempre abbiamo sostenuto che tutti gli animali dopo questa importante riforma del Codice Penale che abbiamo contribuito a suo tempo a promuovere a livello politico e tecnico, potevano essere vittime del delitto di maltrattamento di cui al nuovo (allora) articolo 544 ter del Codice penale, al di là del fatto se erano o meno oggetto di un’attività speciale, come la caccia, la sperimentazione, i circhi, gli allevamenti, il trasporto, la macellazione ed ogni altro campo senza alcuna esclusione di principio”. La Lav definisce sconcertante la posizione assunta anche all’interno di parte del mondo animalista ma – soprattutto – da parte di alcuni organi di polizia ed amministrativi che fino praticamente a poche ore fa hanno dubitato di poter applicare tale legge a tutto campo, favorendo di fatto zone off limits dalla influenza regolamentativa di tali illeciti penali, ma il “vento” è cambiato, anzi, “lo abbiamo fatto cambiare” spiegano gli animalisti.

C’è comunque ancora tanto da fare, ma la strada è quella giusta.

Roberta Ragni

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