I maiali in gabbia non potevano neanche sdraiarsi: allevatori Amadori condannati, sentenza storica

Condannati il rappresentante legale e il custode di un allevamento di maiali controllato al 100% da Amadori, per le terribili condizioni degli animali

Il rappresentante legale di una società controllata da Amadori e il custode responsabile di un allevamento intensivo di maiali sono stati condannati per uccisione, maltrattamento e abbandono di animali.

Il rappresentante legale dovrà scontare tre mesi di reclusione per i primi due reati, oltre al pagamento di 22.500 euro di multa, mentre il custode dovrà pagare una sanzione pari a 1.600 euro per l’abbandono di animali.

Il procedimento penale a carico dei due uomini è iniziato in seguito alla denuncia di Enpa (Ente Nazionale per la Protezione degli Animali) e Animal Equality che nell’agosto 2016 hanno presentato un esposto contro l’azienda Amadori.

Nell’agosto 2016, infatti, la trasmissione Report ha mandato in onda le immagini registrate dagli attivisti di Esseri Animali, in cui venivano mostrate le terribili condizioni in cui erano costretti a vivere i maiali in uno dei principali allevamenti di Amadori.

Le scrofe in gestazione e fecondazione erano infatti tenute in gabbie troppo piccole, dove non potevano né sdraiarsi né girare su loro stesse o difendersi da topi e mosche che provocavano loro fastidio, sofferenza e lesioni della pelle.
Nell’allevamento non erano poi stati previsti luoghi asciutti e puliti dove gli animali potessero riposare, né arricchimenti ambientali.

A seguito del servizio, Enpa ha deciso di presentare un esposto contro l’azienda, integrando la denuncia con le immagini raccolte dagli investigatori di Animal Equality in diversi allevamenti intensivi di polli, sempre di proprietà di Amadori.

Proprio grazie a tale integrazione, nel 2019 l’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato (AGCM) ha obbligato Amadori di modificare la propria comunicazione riguardo le condizioni di vita dei polli allevati, poiché potenzialmente ingannevoli.

Oggi, a distanza di quattro anni dalla prima denuncia, è arrivata la condanna delle persone coinvolte nell’allevamento di maiali, che hanno patteggiato la pena.

Secondo la sentenza, gli animali “venivano sottoposti a condizioni insopportabili per le loro caratteristiche etologiche procurandogli sofferenze non necessarie e in alcuni casi anche la morte”.

La sentenza ha riconosciuto la responsabilità del rappresentante legale “nel mantenere condizioni di allevamento tali da ingenerare negli animali inutili sofferenze”.

Il custode invece, che avrebbe dovuto occuparsi degli animali, “faceva sì che gli animali fossero detenuti in condizioni incompatibili con la loro natura, causandogli gravi sofferenze”.

“Si tratta di una sentenza importantissima che mette finalmente sotto i riflettori della giustizia i reati che ogni giorno si compiono nei confronti degli animali all’interno di moltissimi allevamenti intensivi”, ha commentato Enpa.

Purtroppo sono invece state archiviate le accuse per le terribili condizioni di allevamento dei polli, documentate nell’inchiesta di Animal Equality. La speranza è che questa questa recente possa servire a mettere in guardia gli allevatori che non rispettano le regole e che non garantiscono un adeguato benessere agli animali.

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO LA NOTA INVIATA DALL’AZIENDA SULLA VICENDA:

In merito alla vicenda relativa all’allevamento di riproduzione suini, sito in provincia di Forlì-Cesena e parte della filiera Amadori, l’azienda intende precisare che le attività di questo allevamento sono sempre regolarmente proseguite in tutti questi anni e continuano tuttora, nel rispetto delle normative vigenti e dei rilievi delle Autorità competenti.

Gli Organi deputati e le Autorità pubbliche hanno effettuato diverse visite alla struttura e hanno sempre confermato come l’impianto fosse conforme nel suo complesso alle normative vigenti, segnalando ambiti di miglioramento e non mettendo mai in discussione l’operatività dell’allevamento.

Al tempo stesso, il Gruppo ha proseguito a investire tempo e risorse nel miglioramento costante della struttura, che in questi anni è stata oggetto d’interventi di rinnovamento nell’ambito di un piano d’investimenti complessivo dedicato a tutta la filiera, a garanzia di un sempre maggior rispetto del benessere animale, per assicurare prodotti di qualità per i propri clienti e per i consumatori.

Con lo scopo di snellire l’iter processuale di questa vicenda e giungere all’accertamento di fatti che – va ricordato – risalgono al 2016, si è proceduto tramite il patteggiamento, il cui iter si è concluso oltre 8 mesi fa e non in questi giorni, a differenza di quanto potrebbe apparire dalla comunicazione diffusa da alcune associazioni animaliste.

Per una completa ricostruzione dei fatti, inoltre, occorre rimarcare che le condotte attribuite, dopo una serie di indagini e considerazioni espresse dalle difese, sono state fortemente ridimensionate dalla Procura.

La conclusione del procedimento col solo pagamento di multa e ammenda è l’ulteriore conferma del fatto che le condotte abbiano avuto carattere occasionale e che nessun pericolo o danno ulteriore sia emerso da esse.

Il Gruppo rimane fermo nella propria convinzione di avere sempre operato nel rispetto delle normative vigenti.

La continuità produttiva della struttura in tutti questi anni è la prova effettiva di come l’attività dell’allevamento sia stata sempre realizzata nel rispetto e in conformità con le leggi italiane ed europee.

Appare pertanto evidente come il clamore sollevato sia del tutto ingiustificato rispetto alla sua reale portata, vista anche l’occasionalità e la singolarità dell’episodio, e che la vicenda sia stata assunta come pretesto per un attacco ideologico e generalizzato al sistema zootecnico nazionale, che resta fra i più avanzati a livello internazionale.

Fonti di riferimento: Animal Equality, ENPA

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