Ariel, il leone paralizzato. La rete si mobilita per raccogliere fondi per le cure

Si chiama Ariel ed è un leone di appena tre anni, ma - invece di correre liberamente nella Savana e dominare fiero il suo territorio - è costretto all’immobilità, a causa di un virus che gli sta distruggendo progressivamente il midollo osseo.

Si chiama Ariel ed è un leone di appena tre anni, ma – invece di correre liberamente nella Savana e dominare fiero il suo territorio – è costretto all’immobilità, a causa di un virus che gli sta distruggendo progressivamente il midollo osseo.

Così la veterinaria che si prende cura di lui, Raquel Borges, ha deciso di portarlo nella sua casa di San Paolo, in Brasile, dove lo coccola, gli cambia il mega pannolone su cui è costretto a stare, gli massaggia le zampe addormentate e lo nutre.

Il leone, nato nel rifugio che la stessa Raquel ha creato con suo marito, è stato visitato da numerosi veterinari e tutti hanno stabilito la stessa cosa: le cure per Ariel costano 11.000 dollari al mese e così grazie ad un messaggio su facebook è nata una vera e propria campagna fundraising , che ha mobilitato centinaia di persone a raccogliere donazioni per pagare le cure al leone.

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Al lancio della campagna Facebook è seguita la nascita di una pagina dedicata, dal nome “Ajuda ao Leao Ariel“, creata dalla stessa Borges, che conta già oltre 40 mila likers, in seguito alle condizioni sempre peggiori dell’animale. Disperata, la giovane veterinaria, ha lanciato un appello al mondo attraverso il celebre social network con il grido: “Aiutateci a salvarlo”.

Ma per l’ENPA la vicenda dovrebbe far sorgere molti altri interrogativi a partire da quello: “Perché Ariel è nato nel parco-zoo? La persona che ora se ne prende cura nel suo appartamento (!!) è la responsabile della nascita di un animale che presupponeva, di per sé, la condanna all’ergastolo. Presumibilmente la ben nota consanguineità tra gli esemplari detenuti in cattività può aver “regalato” ad Ariel un sistema immunitario fragile e la predisposizione a malattie genetiche.

La cosa migliore da fare ora per questa povera creatura, vittima due volte della distorsione del corretto rapporto uomo-animale, dovrebbe essere una seria valutazione sulle sue condizioni e una terapia in un luogo idoneo e non in un appartamento.

Questa storia dovrebbe essere di monito per noi tutti e ricordarci che l’uomo non può essere padrone della natura, non può e non deve imprigionare gli animali selvatici ed utilizzarli come zimbello e che l’amore ed il rispetto per essi e per la natura tutta presuppongono ben altra consapevolezza e coscienza”.

Verdiana Amorosi

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