Caccia alle foche: protesta degli eschimesi Inuit a Strasburgo contro il divieto

Il selvatico odore della carne di foca alla brace sta assalendo le narici degli eurodeputati di Strasburgo questa settimana. Gli indigeni Inuit sono arrivati in Belgio dalla Groenlandia per protestare davanti al Parlamento europeo contro il divieto generale di prodotti derivati dalla foca, introdotto nel 2010

Il selvatico odore della carne di foca alla brace sta assalendo le narici degli eurodeputati di Strasburgo questa settimana. Gli indigeni Inuit sono arrivati in Belgio dalla Groenlandia per protestare davanti al Parlamento europeo contro il divieto generale di prodotti derivati dalla foca, introdotto nel 2010.

Le esportazioni di pelli di foca sono crollate del 90% dopo l’introduzione del divieto europeo. L’impatto sulle economie di sussistenza in 60 comunità costiere della Groenlandia è stato catastrofico. “E una situazione tragica per noi“, dice Karl Lyberth, un cacciatore che è stato ministro della pesca, dell’agricoltura e dell’alimentazione in Groenlandia. “Molte persone nell’Unione europea non capiscono il nostro modo di vivere”.

Cacciare foche da pelliccia, infatti, fa parte dello stile di vita del popolo Inuit da sempre. È a questo animale che gli abitanti locali si affidano per il cibo, l’abbigliamento e per la generazione di un reddito. Per questo i groenlandesi si rivolgono ai deputati, al fine di finanziare una campagna di informazione e contrastare la propaganda anti-pelle di foca, nel tentativo di rendere le loro pelli più attraente e ripristinare le esportazioni ai livelli in cui erano prima del divieto.

Il principale ostacolo per i cacciatori, infatti, è quello di superare l’immagine promulgata dagli attivisti del benessere degli animali dei cuccioli di foca indifesi bastonati a morte sul ghiaccio, come accade in Canada. L’indignazione pubblica internazionale all’abbattimento canadese ha contribuito non poco alla moratoria europea.

Lo ha riconosciuto anche Greenpeace. In un comunicato stampa del direttore esecutivo di Greenpeace Canada, Joanna Kerr, pubblicato su Nunatsiaq News, il giornale di Nunavut, patria del popolo Inuit, arrivano le scuse ufficiali:

“La nostra campagna ha fatto del male a molti, sia economicamente che culturalmente. Sebbene diretta contro la caccia alle foche a fini commerciali, e non su piccola scala, come quella di sussistenza effettuata dai popoli indigeni e costieri del nord, non abbiamo sempre comunicato questo con sufficiente chiarezza, e le conseguenze, pur non intenzionali, sono andate molto aldilà”.

I cacciatori Inuit hanno subito pesantemente anche gli effetti crescenti del cambiamento climatico. L’aumento delle temperature oceaniche comprese tra 1-2 gradi centigradi ha eroso il ghiaccio marino, rendendo pericoloso il metodo tradizionale di caccia – una slitta trainata da una muta di cani. In alcuni luoghi il ghiaccio è così sottile che non può sopportare il peso del cacciatore e dei suoi cani.

Ma l’alternativa c’è, dicono gli ambientalisti: l’Unione europea potrebbe aiutare e sostenere economicamente i cacciatori che si trovano ad affrontare l’indigenza provocata dal divieto. E salvare al tempo stesso le foche.

Roberta Ragni

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