L’India dice no alla costruzione dei delfinari

Grande vittoria per la tutela dei delfini. Il Ministro indiano dell'Ambiente e delle Foreste, Jayanthi Natarajan, raccogliendo l'appello lanciato delle associazioni animaliste e degli attivisti, ha deciso di vietare la realizzazione di tutti i delfinari che erano stati proposti negli Stati costieri del Paese.

Grande vittoria per la tutela dei delfini. Il Ministro indiano dell’Ambiente e delle Foreste, Jayanthi Natarajan, raccogliendo l’appello lanciato delle associazioni animaliste e degli attivisti, tra cui anche l’Enpa, ha deciso di vietare la realizzazione di tutti i delfinari che erano stati proposti negli Stati costieri del Paese.

Tamil Nadu, Kerala, Goa, Noida e Maharashtra non saranno, quindi, luoghi di tortura, privazione e prigionia per i cetacei rubati al mare, soprattutto grazie “alla forte condanna dell’opinione internazionale sul confinamento di animali selvatici o sul loro utilizzo per puro divertimento dell’uomo”, dice una lettera che il ministro ha inviato alla Peta. Il forte segnale dell’India contro lo sfruttamento, peraltro vietato sia dalla legge indiana contro la crudeltà sugli animali (prevention of Cruelty to Animals Act) sia dalla normativa per la protezione della fauna selvatica (Wildlife Protection Act), ha raccolto il favore dell’Enpa.

“La presa di posizione del governo indiano è un’ottima notizia – commenta il direttore scientifico dell’Enpa, Ilaria Ferri -. Nelle settimane passate avevamo chiesto all’esecutivo di Nuova Delhi di opporsi alla costruzione dei delfinari, evidenziando come delfini e balene, animali estremamente intelligenti abituati a vivere in libertà all’interno di gruppi con relazioni familiari molto strette, fossero inadatti alla vita in cattività, che per loro rappresenta una vera condanna a morte”.

Perché, se l’industria dell’intrattenimento cerca di far passare l’idea secondo cui la cattività dei cetacei avrebbe finalità educative, e che gli stessi animali sarebbero “felici” di vivere in un ambiente così artefatto, di interagire con l’uomo e di eseguire tali esercizi, “è evidente che ciò non ha nulla a che vedere né con una presunta conservazione delle specie né con un’altrettanto presunta mission formativa, poiché gli animali sono privati della possibilità di comportarsi secondo le caratteristiche etologiche della loro specie, sono obbligati ad alterare i propri istinti, oltre a subire un percorso di addestramento basato sulla deprivazione alimentare e sulla paura”, conclude la Ferri, augurandosi che altri Paesi, primo fra tutti il nostro, seguano l’esempio dell’India.

Roberta Ragni

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