Trivelle nell’Artico: gli ambientalisti norvegesi si rivolgono alla Corte di Strasburgo per fermare l’estrazione di petrolio

Dopo vari tentativi falliti di fermare le trivellazioni per l'estrazione di petrolio nell'Artico, gli attivisti norvegesi hanno deciso di portare di il caso alla Corte di Strasburgo

Le trivellazioni di petrolio nell’Artico rappresentano un pericolo per l’ambiente e violano anche i diritti umani: è quanto denunciato da due Ong norvegesi e sei giovani attivisti, che hanno deciso di rivolgersi alla Corte europea di Strasburgo

Dopo vari tentativi falliti di fermare le trivellazioni per l’estrazione di petrolio nell’Artico, gli attivisti norvegesi non demordono e hanno deciso di portare di il caso alla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) per chiedere di annullare le autorizzazioni concesse alle lobby del petrolio. Secondo le Ong ambientaliste e sei giovani attivisti che i sono appellati alla Corte europea, oltre a deturpare l’ambiente, le trivelle violerebbero anche i diritti umani fondamentali. 

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La battaglia degli attivisti norvegesi contro le lobby del petrolio

I cittadini della Norvegia, il più grande produttore di petrolio e gas dell’Europa occidentale, insieme alle due organizzazioni ambientaliste Nature and Youth e Greenpeace portano avanti da tempo una lunga battaglia legale contro l’estrazione di petrolio nell’oceano Artico. Le licenze attualmente autorizzate nel Mare di Barents sono dieci e su queste si è già pronunciata la Corte suprema della Norvegia, rigettando lo scorso dicembre i ricorsi presentati dalle Ong. Ma gli ambientalisti non hanno alcuna intenzione di gettare la spugna. Per questo ieri hanno depositato la loro richiesta, denominata “The People vs. Arctic Oil”, alla Corte Europea, in cui si sostiene che le trivelle violano la legge.

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I giovani norvegesi fanno sentire la loro voce 

La concessione di nuove trivellazioni petrolifere nelle aree vulnerabili del Mare di Barents è una violazione degli articoli 2 e 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che mi concede il diritto di essere tutelato da decisioni che mettono in pericolo la mia vita e il mio benessere.” – ha annunciato Lasse Eriksen Bjørn, uno dei giovani attivisti impegnato nella lotta alle trivelle – Come giovane della cultura Sea Sámi, temo l’impatto che il cambiamento climatico avrà sullo stile di vita della mia comunità. La cultura Sámi è strettamente legata all’uso della natura e la pesca è essenziale. Per la nostra cultura continuare senza la pesca tradizionale sarebbe impossibile. Una minaccia per i nostri oceani è una minaccia per la nostra gente. 

Negli ultimi decenni gli scienziati hanno espresso la loro preoccupazione per via delle emissioni di gas serra che stanno alterando il clima terrestre, portando il nostro Pianeta a un punto di non ritorno. Persino l’Agenzia internazionale per l’energia (IEA) è dell’opinione che è più possibile autorizzare progetti di estrazione di petrolio e gas, se si vuole limitare l’aumento delle temperature restando entro la soglia di 1,5 gradi Celsius (come previsto dall’accordo di Parigi).

Il cambiamento climatico e l’inerzia del nostro governo mi stanno privando della fiducia nel futuro. – scrive Mia Chamberlain, una dei giovani attivisti norvegesi – L’ottimismo e la speranza sono tutto ciò che abbiamo, ma si stanno lentamente allontanando da me. Per questo, come molti altri giovani, ho vissuto periodi depressivi. Spesso ho dovuto lasciare l’aula quando si parlavano di argomenti relativi al cambiamento climatico, perché non potevo sopportarlo. Ma la nostra richiesta alla Corte europea dei diritti dell’uomo rappresenta per me una speranza di fronte a questa crisi

I sei giovani ambientalisti e le due Ong sperano che la Corte europea dei diritti dell’uomo si pronunci a loro favore. Ma non è detto che il tribunale di Strasburgo accetti la loro richiesta e potrebbero volerci da uno a cinque anni per la conclusione del caso. Ci auguriamo che non sia l’ennesima sconfitta per l’ambiente e per i cittadini norvegesi!

Fonte: Greenpeace

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