Brasile: in aumento i suicidi tra i giovani delle tribù indigene spogliate delle terre ancestrali

È allarme suicidi tra i Guaranì del Brasile: questo antico popolo indigeno, che nel corso degli anni si è visto sottrarre con la violenza la maggior parte delle terre avite, registra oggi un tasso di suicidi ben superiore alla media. Un fenomeno preoccupante, che riguarda soprattutto i più giovani.

È allarme suicidi tra i Guaranì del Brasile: questo antico popolo indigeno, che nel corso degli anni si è visto sottrarre con la violenza la maggior parte delle terre avite, registra oggi un tasso di suicidi ben superiore alla media. Un fenomeno preoccupante, che riguarda soprattutto i più giovani.

Molte comunità Guaranì, come quella degli Apy Ka’y, composta da circa 150 persone, negli ultimi decenni hanno subito minacce, intimidazioni e violenze da parte di latifondisti interessati ad impossessarsi delle loro terre. Una pressione costante, che li ha portati a vivere in spazi sempre più ridotti. Basti pensare che, dal 2009, gli Apy Ka’y vivono in uno squallido accampamento a lato dell’autostrada BR 463, nello stato meridionale del Mato Grosso do Sul, a poca distanza dalle loro terre ancestrali, oggi quasi interamente occupate da piantagioni.

Una sentenza giunta il mese scorso ha ribadito che gli Apy Ka’y non hanno più alcun diritto sulle loro terre, nonostante queste ultime siano state loro sottratte senza alcun indennizzo negli anni Sessanta e Settanta da bande di uomini armati che non esitavano ad uccidere. E ha stabilito che la comunità deve abbandonare definitivamente il sito che occupa. Ma per andare dove?

“È una sentenza di morte” – ha commentato in proposito Tonico Benites Guaranì, antropologo e leader della comunità, intervistato dal Guardian – “[…] Siamo stati resi mendicanti sulla nostra stessa terra.”

Una situazione terribile, che sta portando l’intera comunità alla disperazione. Le nuove generazioni, in particolare, si ritrovano senza alcuna prospettiva: non hanno più le terre in cui la loro gente ha vissuto da sempre, coltivandole e traendone nutrimento, non sanno dove andare e non hanno alcuno strumento per costruirsi una “nuova” vita altrove. Da qui, l’insorgere di una vera e propria emergenza suicidi.

Secondo le stime, infatti, sono circa un migliaio i giovani Guaranì che si sono tolti la vita in tutto il Brasile negli ultimi dieci anni: un tasso di gran lunga superiore alla media brasiliana e che non ha eguali tra tutti gli altri popoli indigeni dell’America Latina. D’altra parte, negli ultimi decenni questo popolo orgoglioso e combattivo ha perso il 95% delle proprie terre ancestrali a causa dello strapotere dei latifondisti – spalleggiati, nella stragrande maggioranza dei casi, dalle autorità locali – e dell’avanzare delle piantagioni industriali di soia, canna da zucchero e biocarburanti.

“Tanti giovani Guaranì si suicidano.” – ha raccontato Tonico Benites“Circa uno a settimana. Lo fanno quando sono stanchi di attendere [il cambiamento]. Cerchi di infonderti speranza, ma poi i tribunali la spazzano via. La tua famiglia soffre la fame e la malnutrizione, la disperazione aumenta, non c’è sicurezza, non c’è speranza, non c’è alcuna certezza che la situazione possa migliorare. È molto triste. […] Ogni giorno la disperazione cresce. Come si può progettare la propria vita? Come si può essere liberi? La perdita di terreno ci rende vulnerabili, ci trasforma in mendicanti.”

I dati ufficiali dicono che ci sono circa 47.000 Guaranì in tutto il Brasile e qualche migliaio di più in Paraguay e Argentina. Un popolo che ha la propria lingua, le proprie credenze e una cultura secolare ma che, dopo essere stato gradualmente spogliato delle terre avite, vive in minuscoli fazzoletti di terra, “assediato” da allevamenti di bestiame e da vasti campi di soia e canna da zucchero, continuamente sottoposto ad atti intimidatori.

“L’unica scelta che hanno i nostri giovani è di lavorare per salari miseri e in condizioni atroci nelle piantagioni di canna da zucchero che ora occupano le nostre terre ancestrali.” – ha detto ancora Tonico Benites, che ha recentemente viaggiato in Europa per raccontare la lenta agonia del suo popolo e cercare di sensibilizzare mondo politico e opinione pubblica –“Se non possiamo piantare, qual è il nostro futuro? L’elemosina non dà futuro. Se si lasciano le comunità, l’unico lavoro che si riesce ad ottenere è nei cantieri edili o nelle piantagioni di canna da zucchero. I nostri giovani non hanno altra scelta, tranne quella di fare lavori degradanti.”

“Soffriamo per via di razzismo e discriminazione. Fino al 1988, la Costituzione brasiliana non considerava gli indigeni degli esseri umani. Una situazione che ha creato razzismo e pregiudizio. E che suggeriva che gli indigeni potessero anche essere uccisi: erano un bersaglio libero. […] Se le cose non cambiano,” – ha concluso amaramente il leader Guaranì – “molti altri giovani si uccideranno, e chi resta morirà di malnutrizione. L’impunità dei latifondisti continuerà e il Governo brasiliano avrà la possibilità di continuare a ucciderci. In 10 anni, saremo avviati allo sterminio.”

Lisa Vagnozzi

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