Pre-Cop26 al via: “stop fossili, greenwashing e allevamenti intensivi”, ma nel frattempo il MiTE fa ripartire le trivelle

Mentre i giovani di Fridays for Future scendono in piazza a chiedere azioni concrete per i clima, il MiTE autorizza le procedure pro-trivelle

“Vogliamo stop immediato ad ogni nuova infrastruttura legata a petrolio, gas e carbone, basta greenwashing, basta allevamenti intensivi”: a chiederlo a gran voce sono i giovani italiani del movimento ambientalista Fridays for Future, scesi in piazza a Milano a manifestare contro la Pre-Cop26 appena iniziata, che hanno ribattezzato il “summit del bla-bla-bla”.

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Quelle dei giovani attivisti sono proposte concrete (alla faccia di chi dice che sanno soltanto lanciare accuse e demolire, senza proporre). A guidare il coloratissimo ed enorme corteo formato da 50mila ragazze e ragazzi ci sono le attiviste per il clima Greta Thunberg e Vanessa Nakate e un gruppo di delegati stranieri della Youth4Climate.

Oggi inizia la PreCop, il primo passo per quella che dovrebbe essere la Cop risolutiva. Ma solo pochi leader e alcuni stakeholders – le multinazionali del fossile in primis – stanno prendendo tutte le decisioni. Non solo: osservatori e movimenti non sono nemmeno stati ammessi – spiega Martina Comparelli, portavoce nazionale di Fridays For Future Italia che ieri ha incontrato il premier Draghi – Serve far uscire l’industria del fossile dal tavolo delle trattative, mettere al centro le popolazioni più colpite dalla crisi climatica.

Nel frattempo in Italia ripartono le procedure pro-trivelle

E nel giorno dell’avvio della Pre-Cop26 sul clima, mentre migliaia di giovani manifestano per un futuro migliore e contro l’uso di fonti fossili, il Ministero della Transizione Ecologica ha trasmesso alla Conferenza Unificata Stato-Regioni il cosiddetto Pitesai, ovvero il piano per la ricerca e lo sfruttamento degli idrocarburi sul territorio nazionale. Proprio quando scadeva il termine per approvarlo.

Ma di che si tratta? Come spiega lo stesso MiTE, il Pitesai “individua le aree in terraferma e in mare dove non sarà più possibile svolgere attività di ricerca e produzione di idrocarburi, e quelle residue dove sarà possibile proseguire tali attività, al termine di una verifica puntuale della loro sostenibilità in funzione di tutti i vincoli di tipo ambientale presenti sul territorio, tenendo conto che comunque l’utilizzo dei combustibili fossili si concluderà nel medio termine, in funzione degli obiettivi di decarbonizzazione che rappresentano il cardine della politica energetica italiana”.

Abbiamo la netta impressione che qualcuno abbia voluto bluffare per mettere tutti di fronte al fatto compiuto – denunciano le associazioni Greenpeace Italia, Legambiente e WWF Italia – Come abbiamo denunciato nelle nostre Osservazioni mandate il 13 settembre al termine dei 60 giorni concessi per la consultazione, la proposta di PiTESAI, presentata con grande ritardo in VAS il 15 luglio scorso, è una scatola vuota, a malapena un ‘documento di indirizzo’ senza alcun impegno serio, coerente con il target di decarbonizzazione al 2050 concordato con l’Europa e quindi con la necessità di indicare un tassativo termine di tempo per la cessazione di qualsiasi concessione e per la dismissione progressiva delle piattaforme in Italia. Non era quindi materialmente possibile che si arrivasse ad integrare il Piano e a farlo adottare, nei 16 giorni successivi alla chiusura il 14/9 delle consultazioni per la VAS. Troviamo che sia singolare che al MiTE nessuno si sia allarmato visto che, dopo la riorganizzazione dei Ministeri del marzo scorso, in questo dicastero convivono sia la direzione che ha redatto la proposta di Piano che quella che deve valutarlo!

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Le trivellazioni autorizzate in mare 

Per quanto riguarda l’estrazione di petrolio in mare, l’iter ripartirà per le seguenti istanze:

  • 5 istanze di permesso di prospezione in mare, di cui è in corso la valutazione ambientale, per un totale di 68.335 kmq
  • 24 istanze di permesso di ricerca in mare (alcune delle quali con la procedura di VIA in corso) per un totale di 13.777 kmq e che coinvolgono il Canale di Sicilia (4 istanze), le coste dell’Adriatico tra le Marche e l’Abruzzo (7 istanze), le coste di fronte la Puglia (10 istanze) e il Golfo di Taranto (3 istanze)
  • 1 istanza di concessione di coltivazione nel Golfo di Venezia e 20 permessi di ricerca – per un totale di 8.872 kmq – che erano stati congelati in attesa dell’approvazione del piano e che coinvolgono il Golfo di Venezia (7 permessi), il Canale di Sicilia (4), le coste di fronte alla Puglia (4), Calabria (4) e l’Adriatico di fronte la costa anconetana.

Le trivellazioni autorizzate sulla terraferma

Invece, sulla terraferma potrà riprendere la procedura:

  • 56 istanze (di cui 50 per permessi di ricerca) per 11.483 kmq che riprenderanno l’iter amministrativo e che riguardano Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Lombardia, Molise e Puglia.
  • 43 permessi di ricerca per 14.473 kmq e che vedono coinvolte oltre alle regioni precedenti anche Piemonte, Sicilia, Veneto e Marche

Insomma, torna lo spettro delle trivelle (che rappresenta una gigantesca minaccia per delicati ecosistemi come quelli marini)… Alla faccia della transizione ecologica! 

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Fonti: Fridays for Future Italia/Greenpeace Italia

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