Petroliera bloccata da 2 anni al largo del Venezuela rischia di provocare uno dei più gravi disastri ambientali della storia

Una nave con a bordo 1,3 milioni di barili di petrolio greggio è ferma da tempo al largo delle coste del Venezuela nel Golfo di Paria

Potrebbe essere un potenziale disastro. Una nave con a bordo 1,3 milioni di barili di petrolio greggio è ferma da tempo al largo delle coste del Venezuela nel Golfo di Paria, un delicato ecosistema marino. E’ la Nabarima, un deposito stazionario abbandonato che arrugginisce e prende acqua, suscitando il timore che possa versare il proprio temibile contenuto in mare.

Il petrolio, originariamente destinato alle raffinerie Citgo di Texas e Louisiana, è bloccato nel Golfo di Paria da quasi due anni, da quando il governo americano ha imposto sanzioni alla Petróleos de Venezuela, la compagnia petrolifera statale che lo ha prodotto. Anche l’italiana ENI è uno stakeholder di minoranza nella joint venture. Le sanzioni hanno lo scopo di esercitare pressioni sul regime autoritario di Nicolás Maduro, che l’amministrazione Trump non riconosce come legittimo presidente del Venezuela.

Una questione puramente politica dunque, ma i cui effetti potrebbero rivelarsi un pericolo per il mare e i suoi abitanti. La Nabarima contiene cinque volte più petrolio di quello che si è riversato durante il disastro Exxon-Valdez del 1989 in Alaska. Se anche una frazione di esso finisse in mare, creerebbe un disastro ambientale molto grave nel Mar dei Caraibi, uno dei più gravi della storia.

Di recente, le autorità di Trinidad e Tobago hanno condotto un’ispezione riferendo che la nave è stabile. Secondo quanto riferito dall’edizione locale del Guardian, circa una settimana fa, il ministro dell’Energia Franklin Khan ha detto che un team di esperti del ministero ha esaminato la petroliera rivelando che il rischio di fuoriuscita di petrolio dalla nave è minimo o nullo.

Khan ha detto di aver appena ricevuto il rapporto dalla squadra di tre uomini inviata per valutare le condizioni della Nabarima dopo che sono state sollevate preoccupazioni sulla sua stabilità da parte del gruppo di controllo ambientale FFOS, Fishermen and Friends of the Sea. Quest’ultimo sostiene invece di aver scattato foto e registrato video lo scorso venerdì che mostrano la nave risulta inclinata da un lato e tenuta in posizione da catene di ancoraggio.

Questo il video dell’ispezione:

Ma Khan lo nega, spiegando che la sua squadra non ha riferito di aver visto alcuna inclinazione i giorni successivi.

“Ho parlato a lungo con il team di questo, hanno detto che possono solo riferire ciò che hanno visto, il team di esperti include ragazzi che hanno una grande esperienza nella stabilità delle navi e hanno confermato che la nave è in posizione verticale, è stabile e c’è un rischio minimo se non nullo di ribaltamento o affondamento … c’è un rischio minimo di fuoriuscita di petrolio”, ha detto Khan.

Secondo FFOS Nabarima è solo l’ultimo esempio di come l’industria petrolifera della regione stia minacciando l’ambiente. Secondo quanto riferito, alla fine della scorsa settimana il governo di Maduro ha avviato il processo per riportare il greggio sul suolo venezuelano, un processo che potrebbe essere rischioso per l’ambiente.

Ciò che preoccupa di il gruppo è la capacità del governo venezuelano di contenere una fuoriuscita. Un eventuale sversamento di petrolio provocherebbe danni catastrofici anche ale foreste di mangrovie, tra gli ecosistemi più produttivi della Terra, e chiaramente si ripercuoterebbe sulla fauna marina.

Anche Eni ha voce in capitolo sulla vicenda. La società italiana che possiede la Nabarima in una joint venture con PDVSA chiamata Petrosucre, ha detto via mail al National Geographic che il petrolio deve essere rimosso rapidamente anche se per adesso la nave sia stabile, ma diversi sistemi di pompaggio interni non funzionano correttamente:

“Eni è pronta a svolgere attività per garantire lo scarico sicuro del Nabarima … utilizzando soluzioni all’avanguardia”, ha detto un rappresentante dell’azienda via e-mail. “L’azienda potrà procedere solo dopo l’approvazione del proprio piano da parte di PDVSA e previa assicurazione formale da parte delle competenti autorità statunitensi che le attività citate non comportano rischi di sanzioni né per Eni né per i suoi appaltatori.”

Intanto la nave è ancora lì, col suo pericoloso carico, in attesa di giudizio…

Fonti di riferimento: National Geographic, Guardian Trinidad e Tobago, Facebook/FFOS

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