Via libera al mega-oleodotto Total tra Uganda e Tanzania che minaccia biodiversità, animali e popolazione sfollata

Il mega-oleodotto tra Uganda e Tanzania ad opera di Total non sarà privo di conseguenze negative sugli ecosistemi e la popolazione.

Il progetto di costruzione di un nuovo oleodotto per il trasporto di greggio destinato all’export internazionale, del valore pari a 3,5 miliardi di dollari e sviluppato dal gigante petrolifero francese Total e dalla China National Offshore Oil Corporation (CNOOC) di proprietà statale cinese, ha visto la ferma opposizione dei gruppi ambientalisti.

L’estensione dell’oleodotto include infatti alcune aree caratterizzate da elevata biodiversità, popolate da fauna selvatica in via di estinzione, che rischia di scomparire del tutto a seguito dell’«avanzata» dell’attività di estrazione petrolifera nelle due nuove riserve (Kingfisher gestito dalla CNOOC e Tilenga dalla Total) situate sulle coste del lago Alberto, tra l’Uganda e la Repubblica Democratica del Congo (Rdc), le più grandi ed economiche riserve petrolifere mai scoperte finora. Conterrebbero infatti ben 6 miliardi di barili di petrolio.

Un patrimonio naturalistico immenso e prezioso per l’Africa orientale e per il mondo intero potrebbe essere “svenduto” e devastato per gli interessi economici di pochi. Migliaia di famiglie rischiano di essere lasciate allo sbando, costrette ad abbandonare per sempre le proprie case, senza alcuna garanzia di compensazione e/o risarcimento da parte delle società petrolifere estere o dai governi nazionali.

Il progetto del nuovo mega-oleodotto, che partirà da Kabaale-Hoima, in Uganda, collegherà i giacimenti petroliferi collocati nel bacino del lago Alberto, nell’Uganda occidentale, al porto di Tanga, sulla costa della Tanzania che si affaccia sull’Oceano indiano. 

Il «no» degli ambientalisti all’oleodotto

Per la coalizione di ONG ambientaliste che si oppongono al progetto, quest’ultimo, se venisse portato a termine, causerebbe una grave crisi ambientale e umanitaria.

Il percorso dell’oleodotto, lungo 1.443 chilometri, interesserà quasi 2.000 chilometri quadrati di aree protette, un quarto dell’habitat degli scimpanzé orientali e degli elefanti della savana africana, condannando alla delocalizzazione forzata oltre 12.000 famiglie che abitano quelle terre ancestrali e che, molto probabilmente, non riceveranno alcuna compensazione per i danni subiti. Intere comunità locali perderanno le proprie terre per fare spazio all’oleodotto.

L’oleodotto attraverserà il bacino del lago Vittoria, passando tra corsi d’acqua grandi e piccoli, compreso il fiume Kagera. In Tanzania, esso si inoltrerà per sette riserve forestali e nella steppa di Wembere, un’area chiave per l’alta biodiversità che la contraddistingue (conta la presenza di una straordinaria macchia di Acacia-Commiphora). Lo stesso porto di Tanga, il terminal dell’oleodotto, confina con due aree marine protette ed ecologicamente sensibili.

Quel “segreto” accordo tripartito

Lo scorso 11 aprile, il Presidente dell’Uganda, Yoweri Museveni e la sua controparte tanzaniana, la presidente Samia Hassan Suluhu, hanno firmato a Kampala, capitale dell’Uganda, l’accordo tripartito per il progetto dell’oleodotto (East African Crude Oil PipelineEACOP). Ora si attende la ratifica dell’accordo dovranno dai rispettivi parlamenti. La Total detiene la quota di maggioranza nel progetto dell’EACOP, mentre l’Uganda National Oil Company, la CNOOC e la Tanzania Petroleum Development Corporation sono parti interessate con una quota di minoranza.

Gli altri due accordi, relativi alle tariffe e al trasporto del greggio, sono stati siglati in quella stessa occasione tra l’EACOP e i trasportatori di petrolio del Lago Alberto.

L’inizio dei lavori di costruzione dell’oleodotto è stato fissato per luglio e le prime esportazioni di greggio partiranno nel 2025. Nell’ambito del progetto è prevista anche la costruzione in Uganda di una raffineria, collegata ad un oleodotto di minore estensione.

Una volta completato, l’oleodotto trasporterà circa 1.7 miliardi di barili di greggio pesante, estratto in oltre 130 pozzi siti all’interno del più grande parco nazionale dell’Uganda, il Parco Nazionale delle Cascate Murchison, che ospita elefanti e leoni africani a rischio di estinzione, una formidabile popolazione di coccodrilli del Nilo e oltre 400 specie di uccelli.

Tra resistenze e concessioni

Gli ambientalisti temono non solo che il progetto possa minacciare la fauna selvatica locale, ma anche che possa vanificare gli sforzi finora profusi per frenare il riscaldamento globale dovuto alle emissioni di CO2, trattandosi di investimenti nel petrolio, un combustibile “sporco”. Sembra quasi anacronistico, a loro avviso, rilanciare la produzione mondiale di petrolio in una congiuntura storica in cui la pandemia ha fatto crollare la domanda e i prezzi degli idrocarburi.

L’attivista ugandese Atuheire Brian, direttore responsabile della policy e della ricerca presso l’African Initiative on Food Security & Environment (AIFE-Uganda) ha spiegato che, come avviene per i siti di estrazione mineraria, quella sotto-regione dell’Uganda, ricca di petrolio, non si trova in un’area desertica, ma rappresenta un’area ad alta biodiversità. Brian lamenta il fatto che il testo dell’accordo tripartito non sia di pubblico accesso nonostante la cerimonia della firma dell’accordo sia stata trasmessa alla tv nazionale. 

Il CEO di Total, Patrick Pouyanné, che alla cerimonia della firma dell’11 aprile in Uganda ha ribadito l’impegno della compagnia petrolifera a realizzare il progetto in modo esemplare, garantendo standard di trasparenza, ha fatto sapere che Total non ha mai trascurato né il contesto ambientale, né le implicazioni sociali dei suoi progetti onshore.

Chi si oppone alla costruzione dell’oleodotto ritiene, tuttavia, che il processo di pianificazione sia stato piuttosto “opaco” e che i suoi fautori abbiano appositamente bypassato le normali procedure giudiziarie e parlamentari.

La resistenza al progetto è stata aggravata, da un lato, dalla eventualità di fuoriuscite di petrolio dall’oleodotto, che potrebbero inquinare un’estesa regione perlopiù incontaminata (in particolare, le foreste di mangrovie e le barriere coralline tra le più ricche di biodiversità di tutta l’Africa) e, dall’altro, dall’assenza di garanzie sulle possibili misure di mitigazione del rischio. Dare il via libera al progetto senza l’approvazione di piani definitivi di gestione ambientale e sociale, da redigere attraverso un’adeguata consultazione pubblica, ha allarmato molti.

Nel marzo 2021, in risposta alla crescente pressione dei gruppi ambientalisti, Total ha annunciato che le sue attività di perforazione nel Parco Nazionale delle Cascate Murchison saranno localizzate solo nell’1% dell’area del parco e che la società stanzierà fondi per aumentare del 50% le unità di ranger, in un’ottica di potenziamento degli sforzi di conservazione.

Questa concessione non è riuscita, tuttavia, a placare le critiche, soprattutto da chi ha a cuore l’ambiente e i diritti umani.

Secondo un rapporto pubblicato nel 2020 da Oxfam e da altre organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani, le comunità ugandesi e tanzaniane coinvolte non avrebbero ricevuto informazioni adeguate riguardo a tempistiche, procedure compensative e rischi sociali e ambientali del mega-progetto petrolifero. Il futuro delle popolazioni dei due paesi resta quindi incerto. 

Fonti: Internazionale/EACOP/Upstream/Oxfam library

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