La Nuova Zelanda vieta le trivellazioni in mare! E l’Italia?

Storica decisione del governo della Nuova Zelanda: vietata ogni nuova attività di prospezione offshore per gli idrocarburi. Vale a dire, mai più trivellazioni in mare.

Storica decisione del governo della Nuova Zelanda: vietata ogni nuova attività di prospezione offshore per gli idrocarburi. Vale a dire, mai più trivellazioni in mare.

Dopo Belize, Costa Rica e Francia, la Nuova Zelanda è il quarto Paese a prendere questa misura contro le lobby del petrolio per salvare l’ambiente e il mare.

Negli scorsi anni, infatti, alcune delle maggiori compagnie petrolifere mondiali – come Shell, Chevron, Petrobras, Statoil – avevano richiesto permessi di ricerca per idrocarburi nell’offshore neozelandese.

La risposta è stata forte e chiara: nessuna trivellazione. E il merito è soprattutto della forte resistenza da parte dei cittadini, delle comunità indigene e delle associazioni ambientaliste, che è durata almeno sette lunghi anni. Già il mese scorso, la nuova Premier noezelandese Jacinda Ardern aveva accettato di ricevere personalmente la consegna delle 50 mila firme raccolte da Greenpeace proprio contro le trivelle.

«La Nuova Zelanda ha preso una decisione storica per la tutela del clima, spronata da quelle decine di migliaia di persone che per anni si sono battute per proteggere le nostre coste da nuove esplorazioni alla ricerca di petrolio e gas», dichiara Russel Norman, Direttore Esecutivo di Greenpeace Nuova Zelanda. «È un messaggio forte e chiaro: stiamo per metter fine all’età del petrolio», conclude.

Ora resta da capire se alle compagnie sarà concesso di sfruttare le concessioni già assegnate: il bando riguarda infatti solo lo stop a nuove concessioni.

E in Italia?

Al contrario, in Italia si prospetta un nuovo assalto alle coste e ai mari, ricchissimi di biodiversità. Migliaia di chilometri quadrati del nostro territorio marittimo, soprattutto in Adriatico, sono oggetto di concessione per prospezioni con airgun (che, ricordiamo, generano pericolose onde sismiche tramite esplosioni allo scopo di mappare il fondale marino).

«In Italia, come in Nuova Zelanda, mettere a rischio le risorse del mare, già minacciate da inquinamento e pesca distruttiva, per aumentare la dipendenza dagli idrocarburi, è una follia», afferma Alessandro Giannì, Direttore delle Campagne di Greenpeace Italia. «In Nuova Zelanda se ne sono accorti. In Italia, il governo ha invece predisposto una Strategia Energetica Nazionale vaghissima sulle rinnovabili, ma concretamente indirizzata alla promozione del gas», conclude.

Non resta che prendere esempio dalla Nuova Zelanda. Un futuro meno fossile è possibile.

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Roberta Ragni

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