Microplastiche: uno squalo ingerisce almeno 170 particelle di plastica al giorno. La ricerca italiana

Balene, mante, squali. I giganti del mare sono vittime delle microplastiche, ciò significa che anche gli oceani considerati finora incontaminati, sono tristemente a rischio. A lanciare l’allarme sono gli scienziati italiani.

Balene, mante, squali. I giganti del mare sono vittime delle microplastiche, ciò significa che anche gli oceani considerati finora incontaminati, sono tristemente a rischio. A lanciare l’allarme sono gli scienziati italiani.

Dal Mar Mediterraneo fino al Golfo del Messico, l’inquinamento da microplastiche raggiunge anche gli angoli più remoti. A stabilirlo è un nuovo studio dell’Università di Siena svolto insieme alla Marine Megafauna Foundation, della Murdoch University (Australia) e appena pubblicato sulla rivista scientifica internazionale “Trends in Ecology & Evolution”.

Secondo gli esperti, le microplastiche, che ricordiamolo sono particelle di meno di 5 millimetri derivate dalla degradazione di rifiuti plastici, inquinano anche gli oceani considerati più incontaminati e hanno un impatto sulla salute dei grandi animali marini come la balenottera, lo squalo e la manta.

Le microplastiche sono contenute in dentifrici, scrub e in altri prodotti per l’igiene e la bellezza, miliardi di minuscole particelle di plastica chiamate microsfere o microgranuli finiscono in fiumi, mari e oceani. Per questo c’è chi come Regno Unito e Canada li ha bandite dal 1 gennaio 2018, mentre in Italia bisognerà aspettare il 2019. Vietandone la produzione, le microplastiche non si troveranno più nei vari prodotti evitando di danneggiare gravemente la vita marina, ma per adesso la strada è tutta in salita.

“Grazie a questo studio portiamo all’attenzione internazionale il problema dell’impatto delle microplastiche sulla salute dei grandi animali marini, e lanciamo un allarme per un problema di portata mondiale” spiega Maria Cristina Fossi dell’Università di Siena, tra le prime scienziate a studiare l’impatto degli inquinanti e delle sostanze tossiche contenute nella plastica sulla salute di balene e squali.

Quello della plastica e delle microplastiche è un problema globale che impatta su tutta la catena alimentare.

“Studiando i grandi animali, che si nutrono di plancton o di prede, e che accumulano grandi quantità di inquinanti attraverso la loro alimentazione, possiamo valutare la portata del problema sulla fauna marina. Sappiamo da anni che la microplastica nel mar Mediterraneo, che è un mare chiuso e densamente popolato, è ad un livello allarmante”, continua Fossi.

Secondo le stime dell’Università di Siena, una balenottera del Mediterraneo, filtrando tonnellate d’acqua, assume migliaia di particelle di microplastiche ogni giorno e purtroppo succede anche negli oceani considerati più puliti.

“Abbiamo analizzato il mare di Cortez, nella bassa California, un tratto di oceano popolato da molti grandi animali marini, e abbiamo calcolato una presenza di 0,7 frammenti di plastica per metro cubo. Dunque uno squalo balena, in quell’ambiente che noi pensiamo quasi incontaminato, ingerisce circa 170 particelle di plastica al giorno”, aggiunge la scienziata.

Già in passato l’università senese aveva effettuato studi sul Mediterraneo che avevano evidenziato nel plancton e negli organismi plantofagi (come balene e squali filtratori) un alto livello di ftalati, composti additivi della plastica nocivi per la salute dei mammiferi e classificati come “distruttori endocrini”. Si tratta di sostanze che vengono metabolizzate e possono avere effetti tossici sui cetacei, interferendo anche con la riproduzione.

“L’esposizione alle tossine associate alla plastica può essere una importante minaccia alla salute di questi animali perché interferisce sugli ormoni che regolano la crescita, lo sviluppo, il metabolismo e le funzioni riproduttive. Adesso che l’attenzione internazionale è stata portata su questo tema, vogliamo approfondire gli effetti tossicologici, definendo anche quale è la soglia di inquinamento che crea un impatto importante sulla catena alimentare, e in ultima analisi sul pesce che anche noi uomini mangiamo” conclude Fossi.

Per la principale autrice dello studio, Elitza Germanov della Marine Megafauna Foundation, “gli scienziati stanno ancora cercando di capire l’entità del problema delle microplastiche perché è difficile valutare le concentrazioni di plastica attraverso metodi convenzionali come l’analisi dello stomaco, perché questi non sono adatti alle specie minacciate come gli squali balena e le mante.

Potrebbero interessarvi:

Aumentare la consapevolezza del problema nelle comunità potrebbe sicuramente cambiare tanti tipi di gesti quotidiani che possono distruggere il nostro Pianeta.

Dominella Trunfio

Condividi su Whatsapp Condividi su Linkedin
Iscriviti alla newsletter settimanale
Seguici su Facebook