Marea nera nel Golfo del Messico: il punto della situazione. Un disastro ambientale annunciato?

La BP continua a mentire. Dopo il dramma causato dall’esplosione della piattaforma petrolifera “Deepwater Horizon” nel Golfo del Messico, la compagnia petrolifera ci ha raccontato tutto e il contrario tutto, sia sulla quantità di petrolio riversata in mare, sia sulla difficoltà di prevedere un dramma di questi proporzioni. Proviamo a fare ora il punto della situazione, a distanza di due mesi.

La BP continua a mentire. Dopo il dramma causato dall’esplosione della piattaforma petrolifera “Deepwater Horizon” nel Golfo del Messico, la compagnia petrolifera ci ha raccontato tutto e il contrario tutto, sia sulla quantità di petrolio riversata in mare, sia sulla difficoltà di prevedere un dramma di questi proporzioni. Proviamo a fare ora il punto della situazione, a distanza di due mesi.

Mentre aumentano i soldi investiti per bonificare le zone colpite dalla marea nera, (che salgono a 50 miliardi di dollari) diventa sempre più oscuro il numero di barili effettivamente fuoriusciti e che ogni giorno continuano a riversarsi in mare e ad inquinare le acque del golfo del Messico.
L’amministratore delegato della BP, Tony Hayward, infatti, nella sua testimonianza al congresso ha dichiarato recentemente che entro il mese di luglio le navi della compagnia riusciranno a pompare “tra i 60 e gli 80 mila barili di petrolio al giorno”, mentre fino a pochi giorni prima il numero di barili che sarebbero stati prelevati non avrebbe superato quota 5.000. Insomma da 5.000 a 80.000 il passo non è esattamente breve.

Altro punto che suscita perplessità e preoccupazione nell’opinione pubblica è la notizia resa nota da Bloomberg, in cui si rende noto che la BP cercava di chiudere alcune crepe stagliate nel pozzo di Macondo già da febbraio, ovvero due mesi prima dell’esplosione, che ha causato la morte di unici addetti e il disastro ambientale più grave degli ultimi anni. (leggi la nostra nefasta classifica sulle peggiori maree nere della storia)

Secondo alcuni report che la compagnia petrolifera inglese ha fornito segretamente al Minerals Management Service – e che sono stati scoperti dagli investigatori del Congresso americano – ci sono voluti dieci giorni per richiudere queste prime crepe.

Altre aperture nella roccia circostante hanno continuato a complicare le operazioni di trivellazione anche nelle successive settimane e nel momento in cui i responsabili della compagnia hanno scoperto che in quella zona c’era una quantità enorme di petrolio, l’obiettivo primario è diventato il greggio. Prelevare tutto il possibile, ad ogni costo. Da qui è iniziato il disastro preannunciato e prevedibile.

Secondo la notizia riportata da Bloomberg, all’inizio del mese di marzo, la BP aveva tentato in gran segreto di trovare una soluzione per tenere sotto controllo alcune fuoriuscite di gas, mettendo a repentaglio la vita dei suoi lavoratori, dei cittadini americani e dell’intero ecosistema.
Anche per questo, dopo l’esplosione, la compagnia britannica ha cercato di ridimensionare il numero dei litri di petrolio dispersi in mare.

Tutto questo è avvenuto all’insaputa e a scapito degli abitanti del golfo del Messico, che ora iniziano a sentire strani odori di sostanze chimiche e che si sono organizzati per acquistare alcuni attrezzature in grado di evidenziare e misurare la presenza di benzene e di altre sostanze dannose per la salute umana.

A peggiorare la situazione c’è anche la notizia riportata dal Guardian. Secondo il popolare giornale inglese infatti, se i tentativi messi in campo dalla compagnia non andranno a buon fine, il pozzo della Bp potrà continuare a riversare in mare tonnellate di greggio per almeno due anni; la peggiore delle ipotesi parla addirittura di quattro. Con tutto ciò che questo comporterebbe.
Secondo gli esperti infatti, i danni potenziali sono devastanti, ben più gravi e duraturi di quelli già provocati. Stando alle stime, il pozzo ha una riserva pari a 50 milioni di barili e un flusso di circa 60.000 barili al giorno.

Nonostante questo però, secondo quanto riferito dalla BBC online – la British Petroleum rimanda al mittente le accuse di negligenza lanciate dalla compagnia americana Andarko, che detiene il 25% dei diritti di sfruttamento del pozzo petrolifero nel Golfo del Messico.
L’amministratore delegato della Andarko, James Hackett, aveva infatti accusato Bp di “negligenza” e “imprudenza”.
Le prove che si stanno raccogliendo – ha detto Hackett – dimostrano chiaramente che questa tragedia era evitabile e che è stata una conseguenza diretta delle decisioni e azioni sconsiderate della Bp”.

Intanto l’amministrazione americana e i vertici della BP sperano di poter mettere fine alla fuga di greggio entro il prossimo agosto, grazie allo scavo di altri due pozzi vicini, in grado di far defluire il liquido nero. Se questa operazione dovesse fallire, i danni ambientali saranno incalcolabili.
Al momento, la compagnia petrolifera per recuperare il petrolio e riuscire a dividerlo dall’acqua, ha ordinato l’acquisto di 32 centrifughe da un’azienda che annovera anche Kevin Kostner tra i suoi fondatori.
I primi tre macchinari che arriveranno sulla piattaforma serviranno, come pure OilSep, il macchinario dell’azienda barese che si era offerta per aiutare in questo tipo di operazione, a separare l’acqua dal petrolio riuscendo a filtrare ogni giorno quasi due milioni di litri di liquido.
Nel frattempo però, gli americani si domandano quanto siano attendibili le informazioni che arrivano ogni giorno dai vari media, quante siano le notizie ancora nascoste all’opinione pubblica e per questo si stanno organizzando sempre di più in blog e forum tematici per scambiarsi idee, informazioni e opinioni sulle conseguenze della tragedia.

Verdiana Amorosi

Leggi tutti gli articoli e gli approfondimenti sulla Marea Nera nel Golfo del Messico

Condividi su Whatsapp Condividi su Linkedin
Iscriviti alla newsletter settimanale
Seguici su Facebook