I leader indigeni denunciano Bolsonaro alla Corte dell’Aia per crimini contro l’umanità ed ecocidio

Il presidente del Brasile Jair Bolsonaro è stato accusato di crimini contro l'umanità, o meglio di ecocidio, da due leader indigeni e alcune associazioni impegnate nella tutela dei diritti umani.

Il presidente del Brasile Jair Bolsonaro potrebbe finire sul banco degli imputati del Tribunale penale internazionale dell’Aia per crimini contro l’umanità. A muovere le pesanti accuse due dei più influenti leader indigeni insieme ad alcune associazioni impegnate nella tutela dei diritti umani, che hanno chiesto al tribunale con sede nei Paesi Bassi di indagare sulle sue politiche ambientali disastrose e le persecuzioni nei confronti dei nativi brasiliani.

La denuncia è partita da Raoni Metuktire, capo del popolo Kayapo e da Almir Narayamoga Surui, capo della tribù Paiter-Surui, che venerdì scorso ha chiesto al Tribunale internazionale di intervenire per punire Bolsonaro per una serie di imputazioni riassumibili in una parola ben precisa: ecocidio.

I danni ambientali e sociali provocati dalle politiche di Bolsonaro 

William Bourdon, l’avvocato francese che ha intentato la causa per conto di Raoni, ha sottolineato che la distruzione ambientale dovrebbe essere considerata un crimine contro l’umanità, sul quale bisogna agire con la massima urgenza. “Stiamo facendo una corsa contro il tempo, considerando la devastazione dell’Amazzonia” ha evidenziato Bourdon.

Da quando Bolsonaro è entrato in carica nel 2019, la foresta pluviale ha subito continui attacchi così come le comunità indigene. In due anni il tasso di deforestazione in Brasile è aumentato del 50%, mentre le occupazioni nei territori dei nativi sono cresciute addirittura del 135% nel 2019. Nonostante ciò, nello stesso anno le sanzioni per crimini ambientali sono diminuite di oltre il 40% in Amazzonia. “Mentre lo scenario sta peggiorando, il governo sta riducendo le pene” spiega Marcio Astrini, direttore esecutivo dell’Osservatorio sul clima. “È spaventoso vedere che è in atto un attacco coordinato al clima, alla foresta e alla sua gente”.

Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Nature Communications, il 40% della foresta pluviale amazzonica potrebbe presto trasformarsi una savana, a causa di politiche ambientali scellerate come quelle portate avanti da Jair Bolsonaro. 

“Bolsonaro non è solo un rischio per i popoli indigeni, si è trasformato in un problema globale, perché quello che fa qui ha un impatto sul pianeta” sottolinea Sônia Guajajara, leader dell’Associazione dei popoli indigeni del Brasile. “Commette un crimine dopo l’altro contro i popoli della foresta e contro l’ambiente”.

Il presidente brasiliano non è nuovo a questo tipo di accuse. La scorsa estate un gruppo di sindacati e organizzazioni sociali che rappresentano più di 1 milione di operatori sanitari brasiliani ha presentato una denuncia al Tribunale penale internazionale dell’Aia, accusandolo di aver commesso un crimine contro l’umanità per aver reagito alla pandemia con “disprezzo, abbandono e rifiuto”.

La popolarità di Bolsonaro continua, dunque, a scendere vertiginosamente tra i cittadini brasiliani, in particolare dalle tribù indigene che, oltre alla cattiva gestione dell’emergenza Covid-19, devono fare i conti con una deforestazione selvaggia e persecuzioni di ogni sorta.

Probabilmente passeranno diverse settimane prima che Tribunale dell’Aia si pronunci sull’indagine. Ma se dovessero esserci gli estremi per procedere, quello di Bolsonaro potrebbe diventare il primo caso legato a motivazioni ambientali a essere trattato dalla dalla Corte penale internazionale con sede nei Paesi Bassi.

Fonte: HuffPost/The Guardian /Twitter

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