“Diritto a respirare”, sentenza storica: per la prima volta vietata estradizione per inquinamento nel Paese d’origine

Sentenza storica in Francia. Per la prima volta garantito diritto a risiedere nel paese di accoglienza ricorrendo a un criterio ambientale

In Francia, lo scorso dicembre, la Corte d’Appello di Bordeaux ha pronunciato una sentenza storica. Per la prima volta viene garantito ad un rifugiato il diritto a risiedere nel paese di accoglienza ricorrendo in maniera esplicita ad un criterio ambientale per revocare un decreto di espulsione emesso nel 2019, diretto contro un quarantenne bengalese affetto da asma grave.

Una sentenza storica

Secondo il tribunale francese, il suo rientro nel paese d’origine avrebbe comportato un aggravamento ovvero avrebbe addirittura aumentato le probabilità di morte prematura, considerata la sua pregressa patologia respiratoria, incompatibile con l’alto tasso di inquinamento dell’aria presente in Bangladesh.

L’uomo, costretto a lasciare il suo paese per sfuggire a tentativi di persecuzione, era arrivato in Francia nel 2011. Si era dapprima stabilito a Tolosa, dove aveva lavorato come cameriere prima di ottenere nel 2015 un permesso di residenza temporaneo in qualità di straniero con necessità di assistenza medica.  Nel giugno 2020, un tribunale di Tolosa aveva già ribaltato il decreto di espulsione del 2019 − emesso dalla Prefettura locale dell’Alta Garonna − sostenendo che in Bangladesh non sarebbero stati disponibili farmaci adeguati per proseguire la terapia individuale.

Tale motivazione figura anche nella recente sentenza dei giudici di Bordeaux, che in realtà si sono spinti oltre, rigettando il ricorso presentato dalla Prefettura e sottolineando la necessità di prendere in considerazione gli aspetti climatico-ambientali nella valutazione della fattispecie in concreto.

Ludovic Rivière, avvocato dell’immigrato bengalese, di cui è ignoto il nome, ha spiegato che il tribunale di Bordeaux ha difeso il diritto alla salute del suo cliente, che sarebbe stato ingiustamente esposto a rischi di insufficienza respiratoria dovuta ad attacchi d’asma, a causa della scarsa qualità dell’aria rilevata in Bangladesh. In particolare, il sistema sanitario bengalese sarebbe stato in grado di assicurare, in ambiente ospedaliero, solo l’apparecchiatura per la terapia ventilatoria per apnee notturne (OSAS). Come riferito da Rivière, esistono anche dei precedenti familiari: il padre dell’uomo sarebbe infatti deceduto all’età di 54 anni proprio a causa di un forte attacco d’asma. Significativo è inoltre il fatto che, da quando l’uomo è giunto in Francia, dove ha iniziato il trattamento medico, la sua capacità respiratoria sia progressivamente migliorata, dal 58% rilevato nel 2013 al 70% del 2018.

Bangladesh, inquinamento dell’aria 6 volte superiore al valore massimo

L’Environmental Performance Index, elaborato dalle prestigiose università statunitensi Columbia e Yale, colloca il Bangladesh alla 179a posizione nel ranking globale dei 180 paesi classificati secondo il livello di qualità dell’aria nel 2020. Infatti, nel paese asiatico la concentrazione di polveri sottili nell’aria è sei volte superiore al valore massimo raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Secondo i dati pubblicati dall’OMS, in Bangladesh l’inquinamento dell’aria, sia in ambiente esterno che domestico, rappresenta un fattore di alto rischio per la salute della popolazione; il preoccupante livello di inquinamento atmosferico del paese avrebbe in parte determinato i 572.600 decessi legati a malattie non trasmissibili (Non Communicable Diseases– NCDs), registrati nel 2018.

Il Dr. Gary Fuller, esperto di inquinamento atmosferico dell’Imperial College di Londra, ha espresso apprezzamento per l’ultima sentenza francese, unica nel suo genere a livello mondiale perché per la prima volta si adducono chiare motivazioni ambientali nel revocare un ordine di espulsione. Sempre nel dicembre 2020, un tribunale di Londra ha emesso una sentenza altrettanto considerevole. In quella pronuncia, la causa della morte di  Ella Kissi-Debrah, bambina di nove anni scomparsa nel febbraio 2013 a seguito di una grave insufficienza respiratoria causata da un grave attacco d’asma, è stata ricondotta all’inquinamento atmosferico.

Fuller prevede una moltiplicazione di simili sentenze in altri paesi europei, i quali stanno cercando di riadattare i propri ordinamenti giuridici e politico-costituzionali di fronte alla pressante richiesta di far valere il diritto, individuale e collettivo, ad un ambiente salubre che implichi il diritto all’aria pulita e ad accedere all’acqua potabile. A livello internazionale, esiste inoltre il Relatore Speciale delle Nazioni Unite per i Diritti umani e l’Ambiente, incaricato di vigilare sull’effettivo rispetto di tali diritti, soprattutto in alcuni paesi in via di sviluppo dove la governance ambientale è pressoché assente.

L’inquinamento atmosferico porterà a migrazioni di massa

Al di là dei singoli casi giurisprudenziali, è innegabile che l’inquinamento dell’aria trascenda i confini nazionali e che il degrado ambientale sia un problema transnazionale in grado di accelerare le migrazioni di massa.

Tale evidenza scientifica rivela quindi lo stretto rapporto tra crisi ecologiche e migrazioni. Mentre il riscaldamento globale sta rendendo il nostro pianeta sempre più inospitale, grandi ondate migratorie saranno sempre più frequenti nei prossimi decenni, con conseguenti flussi di “profughi climatici e ambientali”.

L’attuale crisi politica e umanitaria associata agli squilibri ambientali globali e alle conseguenti migrazioni potrebbe perciò condurre ad una vera e propria minaccia esistenziale qualora i singoli governi nazionali e la comunità internazionale decidessero di ignorare, ad esempio, l’importanza della tutela del diritto a respirare aria pulita in quanto diritto umano fondamentale, inderogabile e irrinunciabile.

Fonti: Guardian/WHO/Bangladesh | Environmental Performance Index (yale.edu)/Asthmatic Bangladeshi refugee cannot be deported from France because of pollution in his homeland | Daily Mail Online/OHCHR | Special Rapporteur on human rights and the environment

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