La scioccante foto di una bambina yanomami pelle e ossa mostra tutto l’oblio in cui si trovano le popolazioni indigene in Brasile

Gli abitanti di Maimasi, alle prese con un focolaio di malaria, sono rimasti sei mesi senza assistenza sanitaria.

Gli abitanti di Maimasi, alle prese con un focolaio di malaria, sono rimasti sei mesi senza assistenza sanitaria e tuttora continuano a scarseggiare i medicinali.

Ha 8 anni, pesa 12,5 kg e soffre di malaria, polmonite, anemia e vermi. Il corpo di questa bambina yanomami riposa su un’amaca in un villaggio nello stato di Roraima, in Brasile. Le sue costole evidenziano la malnutrizione e l’inadeguatezza del Brasile per quanto riguarda l’assistenza sanitaria per le sue popolazioni indigene.

Scattata intorno al 17 aprile, questa foto, e la storia dietro di essa, è stata raccontata dal missionario cattolico Carlo Zacquini, che dal 1968 lavora con gli indigeni Yanomami, e a farne eco è stato il quotidiano Folha de S.Paulo. La bambina appartiene alla comunità di Maimasi, una regione di difficile accesso nella foresta pluviale amazzonica che, sebbene stia attraversando un focolaio di malaria, è rimasta senza assistenza sanitaria per sei lunghi mesi.

Come se non bastasse, quando un’équipe medica è riuscita finalmente ad arrivare sul posto, non aveva abbastanza medicine per curare tutto il villaggio. Nonostante la denuncia di Zacquini, che racconta delle grandi difficoltà nell’ottenere medicinali e della mancanza di professionisti, il Distretto Sanitario Indigeno Speciale Yanomami – DSEI nega che ci siano carenze.

“Per raggiungere Maimasi ci vogliono otto minuti in elicottero, ma questo avviene solo in caso di emergenza. Evidentemente, questa bambina non è un’emergenza!”, scrive Zacquini.

L’abbandono verso queste comunità non è una novità, è solo stata accentuata maggiormente a causa della pandemia e dell’attività mineraria. Secondo uno studio pubblicato nel 2019 condotto dall’Unicef ​​in collaborazione con la Fondazione Oswaldo Cruz (Fiocruz), nei villaggi di Auaris e Maturacá, l’81,2% dei bambini yanomami sotto i cinque anni soffre di malnutrizione cronica, il 48,5% di malnutrizione acuta e il 67,8 % ha anemia.

La minaccia dell’attività mineraria

Oltre alla malaria, gli indigeni devono affrontare anche la grande invasione di minatori, che arrivano nella loro terra incoraggiati dal prezzo elevato del minerale e dalle promesse del presidente Jair Bolsonaro di legalizzare il loro operato. Sono circa 20.000 infatti le persone non indigene che vivono illegalmente nella Terra degli Yanomami, che contaminano i fiumi con il mercurio e contribuiscono alla diffusione del Covid-19, della malaria, dell’alcolismo e della prostituzione.

È dallo scorso anno che gli indigeni stanno denunciando il fatto che le infezioni da coronavirus nella loro comunità avvengono tramite i cercatori d’oro, avvertendo anche le autorità sul pericolo, dato dalla loro estrema vulnerabilità al virus, che ciò rappresenta per queste popolazioni. L’Articulação dos Povos Indígenas do Brasil – APIB stima che dall’inizio della pandemia, siano stati infettati più di 38.500 indigeni e 932 siano morti.

Ha 8 anni e pesa 12,5 kg. Ricoverata in ospedale dal 23 aprile, dove è monitorata dai servizi sociali, ora per fortuna è stabile, non ha più la malaria ma è ancora in cura per la polmonite, l’anemia e malnutrizione grave. Lei è una delle poche fortunate che è riuscita a ricevere in tempo l’assistenza sanitaria, purtroppo non tutti i bambini hanno avuto questa possibilità.

FONTE: Folha de S.Paulo / Unicef / APIB / HAY

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