Disastro di Marcinelle, la strage dei minatori: quando eravamo emigranti senza diritti

Disastro di Marcinelle. Sono passati 67 lunghi anni ma per le vedove, gli orfani e i vecchi minatori, l'incidente di Marcinelle è ancora un ricordo vivo e doloroso

Quell’8 agosto del 1956, in una delle rare giornate di sole al Bois du Cazier, la vecchia miniera del distretto di Charleroi in Belgio, un incidente a quasi mille metri di profondità scatenava un terribile incendio tra gallerie e cunicoli.

262 persone morte, di cui 136 italiani. Solo 38 sopravvissuti. Nell’anniversario della strage, i rintocchi delle campane, uno per ogni vittima, ricordano questa tragedia, definita dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella

“simbolo delle sofferenze e del coraggio e dell’abnegazione dei nostri concittadini che lottavano – attraverso il duro lavoro – per risollevare se stessi e le loro famiglie dalla devastazione del secondo conflitto mondiale. Spero che il ricordo sia di sprone a migliorare le condizioni di sicurezza sul lavoro”.

La storia dei minatori era quella di giovani immigrati di 12 diverse nazionalità, arrivati da tutta Europa in cerca di un lavoro. L’avevano trovato in quella miniera di carbone a Charleroi, un lavoro duro e logorante, che gli permetteva la sopravvivenza delle loro famiglie.

Ma all’alba di quell’8 agosto, il sole era stato oscurato dal fumo nero stroncando la vita di quegli uomini lontani da casa e alloggiati in baracche fatiscenti usate in passato per i prigionieri di guerra.

“Ripensare come eravamo e vivevamo, rafforza la nostra determinazione ad accogliere con spirito di solidarietà chi oggi è costretto a migrare e ha diritto alla protezione internazionale – ha detto qualche tempo fa l’ex presidente del Senato Piero Grasso, sul luogo della tragedia. – È nostro dovere di ridurre le diseguaglianze e le marginalità che rendono le nostre società più vulnerabili al fondamentalismo e all’illegalità. Al sacrificio di quegli uomini a Marcinelle noi dobbiamo il riconoscimento, a tutti i lavoratori che si trovano in Unione europea, di diritti e garanzie. Questo è un luogo di dolore, ma sempre di più anche di speranza perché anche da qui è partito il processo dell’integrazione europea, che ha prodotto libertà e diritti, assicurando la dignità e la sicurezza del lavoro come uno dei suoi principali obiettivi”

Secondo le ricostruzioni, l’incidente di Marcinelle fu dovuto a una disattenzione: l’ascensore era partito nel momento sbagliato, rompendo le condotte dell’olio, dei tubi dell’aria compressa e dei cavi elettrici, e provocando il terribile incendio sotterraneo. A questo vanno aggiunti soccorsi lenti e vie di fuga praticamente inesistenti.

Oltre il danno però anche la beffa, dopo la tragedia: i tre processi condannarono a sei mesi con la condizionale il direttore della miniera mentre per amministratori e ingegneri responsabili di incuria e pessima manutenzione degli impianti, nonché dello sfruttamento disumano dei lavoratori, non ci fu alcuna pena.

Uno scorcio interessante che documenta la condizione dei minatori emigrati lo dà Déjà s’envole la fleur maigre, uno dei migliori film neorealistici che racconta la crudeltà dell’emigrazione e l’eterna bugia dell’integrazione sociale, lo sfruttamento, la vergogna e la continua stigmatizzazione.

Il regista belga Paul Meyer descrive la tremenda storia di un’operaia costretta ad andare a letto con il padrone nei venti spietati minuti di Klinkaart, quella di un ragazzino di 17 anni che sogna di tornare a casa, degli italiani spesso oggetto di scherno (chiamati musi neri) e di emarginazione.

E rivedendo quei volti, di attori non professionisti, non possiamo fare a meno di ricordare che fino a poco tempo fa gli emigrati eravamo noi.

 

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