Contaminazione da arsenico: le 4 peggiori aree d’Italia

Inquinamento da arsenico in 4 aree italiane, comprese Taranto e Gela: i dati del rapporto Sepias

Contaminazione da arsenico. A Taranto, ma anche a Gela, nell’Amiata e nel viterbese. Nel sangue e nelle urine di cittadini e lavoratori, l’arsenico è un imbroglio travestito di acqua buona e polvere, nei più innocui dei casi.

E già, perché oltre che nelle sostanze chimiche e nei derivati del petrolio, l’arsenico si nasconde nell’acqua che beviamo e nelle polveri che respiriamo. Bello e cancerogeno.

I risultati dello studio SEpiAS – Sorveglianza epidemiologica in aree interessate da inquinamento ambientale da arsenico di origine naturale o antropica, condotto dai ricercatori dell’Istituto di fisiologia clinica (Ifc) del Cnr e pubblicato sulla rivista Epidemiologia e prevenzione, parlano chiaro: in molti residenti nelle aree valutate ci sono livelli di arsenico superiori alla norma.

Finanziato dal Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ccm) del Ministero della Salute, il lavoro è stato condotto in due aree con inquinamento da arsenico di origine naturale (Amiata e viterbese, dove l’arsenico è presente nelle rocce, nei sedimenti e nelle acque) e in due aree con inquinamento da arsenico di origine antropica (Gela e Taranto con le loro industrie), allo scopo di valutare la relazione tra esposizione umana ad arsenico, attraverso dati di inquinamento ambientale e indicatori di dose assorbita e marcatori biologici di effetto precoce sulla salute.

LE ANALISI – La ricerca ha svolto un biomonitoraggio su 282 residenti in quelle 4 aree. Nelle urine dei partecipanti è stato misurato il contenuto di diverse specie organiche e inorganiche di arsenico, alcune delle quali sono accertate come cancerogene per l’uomo. In più sono stati effettuati analisi del sangue, ecodoppler e visita cardiologica e ogni soggetto ha dovuto compilare un questionario su stile di vita e situazione clinica.

Ebbene, se le quattro aree prese in esame presentano una diversa distribuzione e tipologia di arsenico assorbito dai partecipanti, anche per alcune caratteristiche genetiche, è l’arsenico inorganico (o industriale) a destare più preoccupazioni per valori medi di concentrazione abbastanza elevati: 40% Gela, 30% Taranto, 15% viterbese, 12% Amiata.

La preoccupazione per i rischi ambientali per la salute appare peraltro acutissima, specie nelle due aree industriali. A Taranto e Gela circa il 60% del campione giudica la situazione grave e irreversibile e oltre l’80% ritiene certo o molto probabile che in aree inquinate ci si possa ammalare di tumore o avere un figlio con malformazioni congenite“, ha affermato Fabrizio Bianchi, responsabile dell’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche (Ifc-Cnr). Quanto alla relazione tra concentrazione di arsenico e fattori di rischio indagati con il questionario, sono emerse preoccupanti concomitanze “principalmente con l’uso di acqua di acquedotto e di pozzo, ma anche con esposizioni occupazionali e con consumo di alimenti quali pesci, molluschi o cereali, che dovranno essere indagati con studi specifici“, continua il ricercatore Ifc-Cnr.

Se quindi a Gela e a Taranto il fattore di rischio più importante è l’esposizione occupazionale, nelle altre due aree i fattori di rischio sono il consumo di acqua per uso civico (cucina e igiene personale) e la contaminazione degli alimenti.

Quanto al livello di fiducia negli enti locali, “nel 40% dei casi nell’Amiata e nel 27 a Viterbo, ma solo nel 6% a Taranto e nel 16 a Gela” si crede nelle istituzioni e nelle loro azioni.

Territori malati, dunque, resi invivibili dalla mala-gestione e da impianti industriali obsoleti. Tutti dati, quelli dell’incidenza sulla nostra salute, che trovano triste conferma nel terzo Rapporto di SENTIERI­– Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento, il progetto finanziato dal Ministero della salute e coordinato dall’Istituto superiore di sanità (ISS) che studia il rischio per la salute nei 44 siti di interesse nazionale per le bonifiche (i cosiddetti SIN). Nei casi studiati emergono aumenti riguardo diversi tipi di tumori (alla tiroide, alla mammella, melanomi), patologie del tratto urinario e respiratorie.

Insomma, ben vengano questi biblici programmi di “biomonitoraggio” umano, ben vengano gli studi e le analisi incrociate. Ma, una volta valutati tutti i rischi su ambiente e salute dei cittadini, non sarebbe anche il caso di avviare concrete procedure di bonifica territoriale?

Germana Carillo

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