Clima: verso la conferenza di Durban 2011

Alla vigilia della Conferenza sul clima di Durban che si aprirà lunedì 28, regna uno strano silenzio, poco conforme all'importanza dell'appuntamento internazionale, ultima spiagga prima dell'addio al Protocollo di Kyoto

Mancano ormai poco più di 2 giorni alla Conferenza sul clima 2011 di Durban. Tuttavia, un’atmosfera di silenzio sembra aleggiare attorno ad uno degli appuntamenti più decisivi degli ultimi anni, quello in cui si dovrà decidere se rinnovare il Protocollo di Kyoto. E la cosa fa ancora più scalpore se si considera che è l’ultima possibilità per trovare un accordo vincolante in grado di sostituirlo.

Ricordiamo, il Protocollo di Kyoto è il trattato internazionale stilato in Giappone nel 1997 ed entrato in vigore nel 2005, sottoscritto dai Paesi in occazione della Conferenza Cop3 della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC).

Tale Protocollo prevede l’obbligo per i paesi che lo hanno sottoscritto, di ridurre le emissioni di elementi inquinanti, tra cui il biossido di carbonio e dei gas serra, ossia metano, ossido di diazoto, idrofluorocarburi, perfluorocarburi ed esafluoruro di zolfo in una misura non inferiore al 5% rispetto alle emissioni registrate nel 1990. E tutto fino al 2012. Il tempo dunque sta per scadere e occorre trovare una soluzione immediata per il futuro.

Le necessità di cui si discuterà a partire dal 28 novembre in Sudafrica saranno la possibilità di prolungare il protocollo nel cosiddetto Kyoto 2 e la scelta di azioni condivise e globali, cui tutti i paesi dovranno conformarsi. E il “tutti” si riferisce principalmente ai Paesi molto inquinanti come Cina, Usa, Giappone, Russia e India, che anche in passato si sono mostrati recalcitranti quando si è parlato di riduzione delle emissioni.

Tra i pochi commenti giunti alla vigilia di Durban, c’è stato quello del commissario Ue per il Clima, Connie Hedegaard che ha sottolineato l’impegno dell’Europa nel sottoscrivere un nuovo trattato: “L’Ue è pronta da anni a siglare un trattato globale a Durban, ma la realtà è che altre economie, come Usa e Cina, non lo sono. Siamo chiari: l’Ue sostiene il protocollo di Kyoto, ma un secondo periodo solo con l’Ue, che rappresenta solo l’11% delle emissioni di CO2 del Pianeta, non è abbastanza per il clima, questo non può costituire un successo a Durban“.

Già, perché se l’Ue produce l’11% delle emissioni e gli Stati Uniti il 18%, paesi come la Cina producono il 24% delle emissioni di CO2 globali. È necessario, allora, secondo Hedegaard, che anche gli altri paesi “seguano la stessa strada“.

Anche le associazioni degli ambientalisti sono sembrate meno combattive sulla necessità di trovare un nuovo accordo vincolante, ma ecco i commenti.

WWF. “In questo momento i governi non pensano al clima perché impegnati ad affrontare le contingenze e la crisi economica, ma come dimostrano anche i recenti eventi climatici italiani, se non si affrontano i problemi alla radice non riusciremo neanche a gestirne le conseguenze – ha spiegato Mariagrazia Midulla, responsabile Policy Clima ed Energia del WWF Italia. È fondamentale che venga definito un secondo periodo per il Protocollo di Kyoto, a oggi l’unico strumento di accordo internazionale legalmente vincolante, oltre che, per i Paesi in via di sviluppo, la cartina di tornasole della volontà di agire dei Paesi sviluppati. Il fatto che il summit si svolga in un continente profondamente colpito, anche a livello economico, dai cambiamenti climatici, e i cui rappresentanti hanno non a caso avuto un ruolo da protagonisti nei precedenti negoziati, potrà rappresentare un importante valore aggiunto per l’esito della conferenza.

Greenpeace. A una settimana dalla conferenza, Greenpeace ha lanciato il rapporto “Who’s holding us back?” che spiega la rete di influenze e i condizionamenti con cui alcune grandi aziende muovono come pedine i leader politici e intere nazioni, le une contro le altre, per frenare la lotta ai cambiamenti climatici. E mette sul banco degli imputati il carbone, considerato è il peggior killer del clima. Queste alluvioni, come quelle che hanno colpito nelle ultime settimane gran parte della penisola, sono anche conseguenza dei cambiamenti climatici ormai evidenti nel nostro Paese. Un legame dimostrato, come sottolinea il recente rapporto del Panel sul Cambiamento Climatico dell’ONU” sottolinea l’associaizone. Secondo Greenpeace sarà necessario “un accordo equo e vincolante per salvare il clima del Pianeta, e tutti noi,. Per questo speriamo che alla conferenza di Durban, l’Italia e i nostri politici parteciperanno con uno spirito nuovo. Se i Governi vogliono scongiurare le conseguenze irreversibili dei cambiamenti climatici, devono ascoltare i cittadini, prima ancora dei mercati, e agire nell’interesse della collettività“.

E cosa ha risposto il governo italiano? Il Ministro dell’Ambiente Corrado Clini ha sottolineato che l’Italia “cercherà di valorizzare al meglio le positive relazioni con la Cina, che sono promettenti, e con gli Usa, più problematici perché il Senato americano non ha dato seguito alle indicazioni del presidente Obama per l’introduzione nel sistema Usa di strumenti per la riduzione di carbonio“. E punta il dito contro gli Usa: “Gli Stati Uniti a Durban si presentino senza impegni e con una politica incardinata su iniziative personali“.

Francesca Mancuso

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