Cina inchiodata: sta producendo emissioni del gas killer dell’ozono, proibito dal 1989

Dopo l’allarme lanciato dal NOOA l’anno scorso, ora i sospetti diventano reali: è la Cina l’artefice di vere e proprie emissioni clandestine.

Crea il buco dell’ozono ed è vietato da 30 anni, eppure il CFC-11, il triclofluorometano e secondo più abbondante clorofluorocarburo, continua ad essere in circolazione. Ma chi produce e disperde ancora il gas killer?

Dopo l’allarme lanciato dal NOOA l’anno scorso, ora i sospetti diventano reali: è la Cina l’artefice di vere e proprie emissioni clandestine, così come già aveva preannunciato una precedente analisi, secondo cui la presenza del composto stava aumentando a causa di una nuova produzione non dichiarata da una fonte localizzata in Asia orientale.

Secondo il nuovo studio “Increase in CFC-11 emissions from eastern China based on atmospheric observations”, condotto da un team internazionale di ricercatori guidato da Matt Rigby della School of Chemistry dell’Università di Bristol, la fonte dell’inquinamento si trova nella Cina nord-orientale e più precisamente nelle regioni Shandong e Hebei. Il 40-60% o più del totale dell’aumento delle emissioni dal 2012 ad oggi può essere attribuito proprio a queste regioni.

Il CFC-11 è stato ampiamente utilizzato negli anni ‘70 e ‘80 come refrigerante e isolante. Il Protocollo di Montreal ne ha vietato l’uso insieme ad altri aerosol industriali che dissolvono chimicamente l’ozono protettivo a 10-40 km sopra la superficie terrestre, in particolare sull’Antartide e sull’Australia. Nonostante ciò, i gas serra, principali responsabili dei cambiamenti climatici a lungo termine, continuano a crescere.

Da qualche anno le emissioni annuali di CFC-11 vietato – che erano diminuite sostanzialmente dalla metà degli anni ’90 – sono tornate ad aumentare di circa 7mila tonnellate: “Le nostre misurazioni hanno mostrato ‘picchi’ di inquinamento quando l’aria arrivava dalle aree industrializzate cinesi”, ha detto Sunyoung Park, uno degli autori dello studio, secondo cui l’entità di questi picchi è aumentata dopo il 2012.

Anche se queste nuove indagini identificano una percentuale sostanziale dell’aumento delle emissioni globali dalla Cina, è possibile che aumenti minori si siano verificati anche in altri Paesi o anche in altre parti della stessa Asia.

Gli scienziati, cioè, ammettono che queste ultime misurazioni sono sensibili solo alla parte orientale della Cina, nel Giappone occidentale e nella penisola coreana, mentre il resto della rete AGAGE monitora parti del Nord America, Europa e Australia del Sud.

emissioni cfc

Ciò vuol dire che esistono parti del mondo per le quali si hanno pochissime informazioni dettagliate sulle emissioni di sostanze che riducono lo strato di ozono e rimane un fatto gravissimo. 

“Questo non può essere trattato come caso isolato in Cina e c’è la necessità di rivedere radicalmente il regime di monitoraggio e applicazione del Protocollo di Montreal, compresi gli approcci di espansione per il monitoraggio della catena di approvvigionamento di sostanze controllate”, concludono infatti dall’Environmental Investigation Agency.

Insomma, non si potranno determinare l’industria o le industrie responsabili della violazione del divieto internazionale, ma una cosa rimane chiara: qualsiasi tip di aumento delle emissioni di CFC ritarda il tempo necessario per il recupero dello strato di ozono. Un lusso che non possiamo permetterci.

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Germana Carillo

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