Cernobyl 25 anni dopo: iniziative per ricordare le vittime e manifestazioni contro il nucleare

Sono passati ben 25 anni esatti da quel terribile giorno in cui a Chernobyl scoppiò il reattore 4 della centrale nucleare, ma le conseguenze sono ancora sotto gli occhi di tutti. Da allora – secondo quanto riportato dal rapporto ufficiale redatto dalle agenzie dell'ONU – sono morte 65.000 persone solo nelle settimane successive al disastro, mentre negli anni seguenti in Ucraina e dintorni sono aumentati in modo esponenziale i casi di tumore e leucemie, dovute proprio alla presenza di sostanze tossiche nell’aria, che hanno alterato l’ambiente per decenni, con conseguenze terribili sulla salute dell’uomo. Anche se spesso difficili da misurare e accertare.

Sono passati ben 25 anni esatti da quel terribile giorno in cui a Chernobyl scoppiò il reattore 4 della centrale nucleare, ma le conseguenze sono ancora sotto gli occhi di tutti. Da allora – secondo quanto riportato dal rapporto ufficiale redatto dalle agenzie dell’ONU – sono morte 65.000 persone solo nelle settimane successive al disastro, mentre negli anni seguenti in Ucraina e dintorni sono aumentati in modo esponenziale i casi di tumore e leucemie, dovute proprio alla presenza di sostanze tossiche nell’aria, che hanno alterato l’ambiente per decenni, con conseguenze terribili sulla salute dell’uomo. Anche se spesso difficili da misurare e accertare.

E proprio in occasione dell’anniversario della tragedia, per ricordare le vittime dell’orrore e le conseguenze del nucleare sull’uomo e sull’ambiente, oggi tornate prepotentemente alla ribalta dopo il disastro di Fukushima, associazioni e comitati si sono uniti organizzando diverse iniziative in ricordo delle vittime e per ribadire ancora una volta il no all’energia atomica.

Così, mentre Greenpeace ha piantato 2000 croci al Circo Massimo e aperto un sito internet dedicato alla commemorazione delle vittime del dramma, il Comitato “Vota Sì per fermare il nucleare” ha indetto una manifestazione di solidarietà a Roma che si terrà prima davanti all’ambasciata del Giappone (ore 15.00, in via Quintino Sella angolo via Sallustiana), poi davanti all’ambasciata Ucraina (alle 16.30 in piazza Verdi, angolo via Guido d’Arezzo), con lo slogan “Da Cernobyl a Fukushima. 25 anni di buoni motivi per fermare il nucleare”.

Un abbraccio simbolico al popolo giapponese e a quello ucraino – ha commentato il Comitato – per esprimere la nostra solidarietà alle due popolazioni colpite, oggi come 25 anni fa, dai più gravi incidenti nucleari della storia. E per dire con forza ‘mai più’: l’energia nucleare, come drammaticamente dimostrano queste due sciagure, non è la soluzione. Ci dicevano – hanno continuato i rappresentanti del Comitato – che dopo Cernobyl non avremmo avuto mai più tragedie nucleari: e oggi, invece, a 25 anni di distanza, le immagini che arrivano da Fukushima sono la prova che nessuna promessa sulla sicurezza dell’atomo è credibile. È tempo che gli stati che hanno centrali atomiche ripensino le loro politiche energetiche, e quelli che le vogliono costruire abbandonino i loro piani”.

Un’occasione per ricordare le vittime quindi, ma anche un modo per evidenziare gli effetti nefasti del nucleare. Basti pensare infatti che l’esplosione del reattore numero 4 della centrale di Chernobyl e l’incendio che ne seguì hanno emesso nell’aria una quantità di radiazioni centinaia di volte superiore a quella delle bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki.
Ancora oggi infatti le popolazioni che abitano vicino alla zona del disastro sono a rischio, mentre nell’area del reattore teatro del dramma umanitario e ambientale è già necessaria un’altra gabbia di cemento per evitare una nuova esplosione.

“Ancora oggi – ha detto Angelo Gentili, della segreteria nazionale di Legambiente – 7 milioni di persone vivono nelle zone più contaminate in Bielorussia, Russia e Ucraina, e sono costrette tutti i giorni a nutrirsi con cibo fortemente radioattivo. Inoltre tutte le aree colpite dall’incidente del 26 aprile 1986 sono a oggi significativamente contaminate secondo gli ultimi monitoraggi effettuati e il rischio dal punto di vista sanitario per le popolazioni residenti continua a essere molto elevato: i tumori tiroidei in primo luogo, ma anche numerose altre patologie risultano essere in continuo aumento. Infatti nutrirsi con una dieta altamente radioattiva comporta un abbassamento significativo delle difese immunitarie dell’organismo che facilita l’insorgenza di patologie di vario tipo. I bambini – continua Angelo Gentili – sono i soggetti meno garantiti e che soffrono di più di questa situazione proprio perché i loro organismi in accrescimento sono vere e proprie spugne anche rispetto all’assorbimento di radionuclidi quali il Cesio 137 e lo Stronzio 90. Nonostante tutto ciò si assiste a una politica volta a minimizzare le conseguenze ambientali dell’incidente nucleare sia con l’abbassamento dei livelli di radioattività (ovviamente solo sulla carta) sia tramite la ripopolazione delle aree più pericolose e l’avvio di coltivazione in loco e allevamento del bestiame. Tra l’altro funghi e legname altamente contaminato oltre che sul mercato nazionale vengono esportati in modo notevole sui mercati europei”.

Proprio sulla questione del minimizzare le conseguenze dell’incidente giapponese che molti ancora descrivono come di minore intensità rispetto a Chernobil, interviene il WWF nella sua nota sull’anniversario del disastro ucraino: “Ci si dimentica che il problema delle radiazioni non può essere considerato solo in relazione all’intensità di queste ma anche in funzione del tempo di esposizione a cui le persone sono sottoposte. Questi dati su Fukushima sono tuttora da verificare, data la reticenza del Governo nipponico e della Tepco nel rilasciare informazioni sull’incidente e sulle sue ricadute.

Nel paragone tra i due incidenti nucleari – continua l’associazione del Panda – bisogna comunque ricordare che la tecnologia del reattore di Cernobyl era considerata ampiamente superata già al momento del dell’esplosione, mentre quella dell’impianto di Fukushima, comune a tante altre centrali nel mondo, era acclarata come sicura, a dimostrazione che l’energia atomica non è mai sicurezza. Cambiano inoltre il contesto e la modalità di intervento. Da una parte l’Ucraina, poco popolosa con vastissime zone forestali, dall’altro il Giappone, affollato e metropolitano con Tokyo a poco più di 200 km; da un lato l’esercito ucraino sacrificato per realizzare il sarcofago di cemento armato e fermare le emissioni; dall’altro i tecnici giapponesi che combattono, per quanto possibile in termini di sicurezza, con l’emergenza per trovare soluzioni non ancora efficaci. In Giappone dunque abbiamo un’esposizione di intensità inferiore ma che coinvolge un numero molto maggiore di persone e per un tempo significativamente più lungo. Ad oggi non è possibile conoscere le conseguenze di questa crisi nucleare ma purtroppo l’esperienza ci insegna che l’ottimismo in questi casi non è mai un buon alleato. Fukushima dimostra che l’imprevedibile è tale per definizione e pertanto nonostante le strutture abbiano sostanzialmente retto sia allo tsunami che al terremoto, ben tre sistemi di avvio al raffreddamento, l’uno alternativamente all’altro, hanno fallito e potrebbero fallire ancora in altri impianti con la stessa tecnologia. Il nucleare sicuro è dunque soltanto uno slogan di marketing e nel nostro Paese dovrebbe fare i conti non solo con i problemi di dissesto idrogeologico ma anche con il dissesto amministrativo”.

Per ricordare la tragedia di Chernobyl, inoltre, il Gruppo locale romano di Greepeace inaugurerà il prossimo 30 aprile, nei locali della libreria Odratek, in via dei Banchi Vecchi 57 a Roma, la mostra fotografica “Certificate No. 000358/ – Il costo umano di una catastrofe nucleare”, un reportage da quattro zone dell’ex Unione Sovietica colpite da incidenti nucleare e contaminate dalle radiazioni realizzato dal fotografo Robert Knoth che rimarrà allestita fino al 6 maggio 2011.

Scatti che si concentrano su vari aspetti del fenomeno: “le ricadute sulla salute, l’assistenza sanitaria per milioni di persone colpite dalle radiazioni e le conseguenze degli incidenti dal punto di vista economico-sociale. Le vicende personali e le storie di vita quotidiana si mescolano ai ritratti delle persone colpite da malattie causate dalle radiazioni, alle immagini delle zone contaminate e abbandonate, e a quelle dei centri medici“.

Durante la serata sarà inoltre possibile partecipare alla registrazione del video “Io mi Ricordo…”, in cui ciascuno potrà raccontare i propri ricordi di quel 26 aprile 1986.

Verdiana Amorosi

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