Carbone in mare a Taranto. L’Ilva incolpa il vento

Carbone in mare a Taranto. Era destinato allo stabilimento dell'Ilva, che, in una nota, dà la colpa a una folata di vento. L'allarme inquinamento è scattato ieri mattina al secondo sporgente del Porto, con conseguenze ancora da quantificare. Ma è una buona comunicazione giustificare quanto accaduto addossando la colpa al vento?

Carbone in mare a Taranto. Era destinato allo stabilimento dell‘Ilva, che, in una nota, dà la colpa a una folata di vento. L’allarme inquinamento è scattato ieri mattina al secondo sporgente del Porto, con conseguenze ancora da quantificare. Il minerale sarebbe caduto in acqua nel corso delle operazioni di scarico da una motonave proveniente da Malta, la Kambanos, che ne avrebbe dovuto scaricare 81.000 tonnellate.

Sul posto sono subito intervenute le motovedette della capitaneria di Porto e i mezzi della Ecotaras, società specializzata in interventi di disinquinamento i mezzi per la bonifica che si sta occupando del contenimento e del recupero del materiale. Per l’Ilva, la dispersione di coke non avrebbe comunque determinato alcuna emergenza” ambientale e la situazione sarebbe sotto controllo“.

Questa mattina, poco prima delle 8 – ha reso noto ieri l’azienda – una quantità di materiale fossile bachatsky, valutata intorno ai 50 chili, è caduta in mare a causa del vento durante le operazioni di scarico al secondo sporgente dalla nave Kambanos. Non si tratta di materiale pericoloso e la quantità trasportata dal vento è esigua“. Il materiale sarebbe caduto in mare per il vento.

Intanto, il ministero dell’Ambiente fa sapere, in una nota, che “le operazioni di scarico della nave, che ha una stazza lorda di 81mila tonnellate, sono state immediatamente sospese mentre l’intera area interessata è stata circoscritta con panne galleggianti antinquinamento“.

Ma è una buona comunicazione giustificare quanto è accaduto addossando la colpa al vento? Se l’è chiesto Alessandro Marescotti, Presidente di Peacelink e tarantino di origine, sul blog de Il Fatto Quotidiano Ambiente e Veleni, facendo riferimento alla mancata applicazione delle prescrizioni dell’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) che prevedono lo scarico dei materiali con tecniche che evitino la dispersione delle polveri nell’ambiente e in mare.

Constatiamo inoltre che rimangono scoperti i nastri trasportatori che trasferiscono le materie prime dal porto alla fabbrica (nei “parchi minerali”). Quei nastri trasportatori dovevano essere coperti il 26 gennaio 2013 in quanto l’AIA dava 3 mesi di tempo a partire dal 26 agosto 2012“, spiega il presidente, aggiungendo anche che Vendola aveva più volte annunciato di aver inserito tale copertura nell’atto di intesa del 2006.

Oggi, invece, “scopriamo che tale copertura – conclude Marescotti- non è avvenuta in modo integrale e che è una parte “sofferente” dell’AIA. Come pure non è avvenuto il cambio radicale di scarico della nave che superi il rudimentale sistema della benna, che disperde le polveri al vento“. Eppure il 7 aprile 2011 era stato siglato un accordo fra il sindaco di Taranto Stefàno, il contrammiraglio Giuffrè (Autorità Portuale), il capitano di vascello Zumbo (Capitaneria di Porto) e Girolamo Archinà, portavoce dell’Ilva attualmente in carcere, avente proprio l’obiettivo di adottare “idonei sistemi e procedure atte ad evitare ovvero contenere la caduta in mare di materiale minerale e fossile“.

Non è dato sapere quali siano stati gli effetti di questa intesa. Quel che è certo ce lo dice un tweet del giornalista de L’Unità Salvatore Maria Righi: “a Taranto c’è più carbone su balconi e finestre che all’Ilva“.

Eh sì, tutta colpa…del vento…

Roberta Ragni

Fonte foto: Ingento/Corriere del Mezzogiorno.it

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